Lavoro

L'intenzione di licenziare ex art. 7, l. 604/66 è irrilevante ai fini del licenziamento collettivo

Nota a Corte di Cassazione, sentenza 15118 del 31 maggio 2021

di Ranieri Romani*

L'avvio di procedure ex art. 7, l.n. 604/1966 avanti la Direzione Territoriale del Lavoro (ora Ispettorato Territoriale del Lavoro) che non si concludano con un recesso datoriale non valgono ai fini del computo dei cinque licenziamenti di cui all'art. 24, l.n. 223/1991 in tema di licenziamento collettivo.

Tale principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza 15118 del 31 maggio 2021.

E' opportuno premettere che ai sensi dell'art. 7, l.n. 604/1966 - relativamente ai datori di lavoro che occupano complessivamente più di 60 dipendenti o che, a prescindere dal numero complessivo, nella sede aziendale o nel comune presso cui è assunto il dipendente da licenziare ne occupano più di 15 - il licenziamento per giustificato motivo oggettivo deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore di lavoro alla DTL territorialmente competente (e trasmessa per conoscenza al lavoratore) con cui il datore di lavoro dichiari "l'intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo" oltre ai motivi del recesso.

Secondo l' art. 24 della legge 223/1991 , invece, le imprese che occupano più di quindici dipendenti che, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, "intendano effettuare almeno cinque licenziamenti, nell'arco di centoventi giorni", in ciascuna unità produttiva, o in più unità produttive nell'ambito del territorio di una stessa provincia, devono preventivamente aprire la procedura sindacale di licenziamento collettivo.

La Cassazione, con sentenza 15118 del 31 maggio 2021, ha affermato che l'espressione "intenda licenziare" di cui alla legge 223/1991 è una chiara manifestazione della volontà di recesso (pur necessariamente ancorata al fatto che i licenziamenti non possono essere intimati se non successivamente all'iter procedimentale di legge) mentre cosa ben diversa è l'espressione "deve dichiarare l'intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo" di cui all'art. 7, l. n. 604 del 1966, che è imposta al solo fine di intraprendere la procedura di conciliazione dinanzi alla DTL, e non può quindi ritenersi di per se un licenziamento.

La Corte, nel motivare la sentenza, riprende anche la nozione di "licenziamento" di cui all'art. 1, paragrafo 1, comma 1, lett. a) della Direttiva 98/59/CE del Consiglio del 20 luglio 1998 (concernente il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi), in cui deve rientravi il fatto che un datore di lavoro proceda, unilateralmente e a svantaggio del lavoratore, a una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto di lavoro per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore stesso, da cui consegua la cessazione del contratto di lavoro.

Alla luce di ciò – conclude la Corte - nel numero minimo di cinque licenziamenti (requisito sufficiente ad integrare l'ipotesi del licenziamento collettivo) non possono includersi altre differenti ipotesi risolutorie del rapporto di lavoro, ancorchè riferibili all'iniziativa del datore di lavoro (come, per esempio, la risoluzione consensuale sottoscritta nell'ambito della procedura ex art. 7 a seguito della dichiarazione di "intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo" del datore di lavoro).

E', tuttavia, doveroso evidenziare che tale pronuncia contrasta profondamente con quanto previsto dalla Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali 3/2013 la quale aveva espressamente disposto che "Nel caso in cui la direzione territoriale del lavoro si accorga che il datore ha chiesto più di 4 tentativi di conciliazione per i medesimi motivi deve ritenere non ammissibile la procedura invitando il datore di lavoro ad attivare quella di riduzione collettiva di personale prevista dalla legge 223/1991".

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*A cura dell'Avv. Ranieri Romani, Partner di LCA Studio Legale

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