L'obbligo di quarantena covid non giustifica l'assenza del lavoratore
La rinuncia a fruire delle ferie all'estero, per poter garantire la prestazione lavorativa al rientro evitando la quarantena obbligatoria, "non costituisce un'illegittima limitazione" del diritto fondamentale alle ferie
Il Tribunale di Trento, con ordinanza del 21 gennaio 2021, ha statuito che costituisce giusta causa di licenziamento il comportamento del dipendente che risulti assente dal lavoro per isolamento fiduciario disposto in conseguenza della sua (evitabile) scelta di trascorrere le ferie all'estero.
La pronuncia del Tribunale trae origine dall'impugnazione promossa da una lavoratrice licenziata in quanto, a valle di reiterate assenze a vario titolo (ferie, permessi 104, malattia del figlio ecc.) e rientrata da ultimo da un periodo di ferie in Albania, era rimasta assente dal lavoro per 14 giorni per osservare la quarantena obbligatoria per legge.
Assenza, questa, che aveva peraltro causato "pesanti problemi organizzativi (…), procurando in tal modo grave nocumento all'azienda".
La lavoratrice impugnava il licenziamento denunciandone la nullità – ritenendola imputabile a motivo ritorsivo e in quanto tale illecito – e, gradatamente, la carenza degli estremi della giusta causa essendo il fatto ben giustificabile dall'osservanza di un obbligo di legge.
Il Tribunale rilevava in primo luogo che l'indagine sulla ritorsività va condotta a valle, e non a monte, dell'accertamento circa la sussistenza della giusta causa di recesso, con ciò aderendo al consolidato orientamento giurisprudenziale.
Passando dunque all'analisi di merito delle motivazioni di licenziamento il Tribunale osservava che la lavoratrice, già al momento della partenza per l'Albania, era consapevole che al suo rientro in Italia non avrebbe potuto ritornare al lavoro a causa dell'obbligo di isolamento imposto dalla normativa emergenziale in atto.
Conseguentemente, ad avviso del Tribunale, la prolungata assenza dal lavoro, seppur dovuta alla necessità di adempiere ad un obbligo di legge, non poteva considerarsi giustificata, in quanto liberamente evitabile dalla lavoratrice, la quale, statuiva il Giudice, "avrebbe ben potuto evitare di trovarsi assoggettata a detto obbligo astenendosi dall'effettuare il viaggio in Albania durante il periodo feriale".
Il Tribunale si è così trovato ad elaborare un ulteriore concetto logico-giuridico degno di nota, riscontrando che la rinuncia a fruire delle ferie all'estero per poter garantire la prestazione lavorativa al rientro evitando la quarantena obbligatoria, "non costituisce un'illegittima limitazione" del diritto fondamentale alle ferie (costituzionalmente garantito ai sensi dell'art. 36 della Carta), ben argomentando che "il soddisfacimento delle esigenze di sanità pubblica, sottese alla necessità di contrastare la perdurante situazione di pandemia, ha comportato per ampi strati della popolazione (…) il sacrificio di numerosi diritti della personalità, in particolare di libertà civile, anche tutelati a livello costituzionale".
Alla luce di quanto sopra, il Tribunale confermava la sussistenza di tutti gli estremi della giusta causa di licenziamento e, rendendo tale conclusione superflua l'indagine circa la ritorsività dell'atto espulsivo aziendale, respingeva il ricorso presentato dalla lavoratrice.
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