L'opposizione al decreto ingiuntivo alla luce della Riforma Cartabia
La modifica del rito ordinario di cognizione e l'introduzione del rito semplificato di cognizione che, subentrando all'abrogato rito sommario, si presenta come un nuovo rito a cognizione piena, in apparenza più semplice e meno formale rispetto a quello ordinario
Ormai da qualche giorno, con l'entrata in vigore del D.lvo 149/2022, con il nome di Riforma "Cartabia", il processo civile ha subito una significativa innovazione.
In particolare, per quanto può interessarci nella trattazione del presente tema, si evidenzia la modifica del rito ordinario di cognizione e l'introduzione del rito semplificato di cognizione che, subentrando all'abrogato rito sommario, si presenta come un nuovo rito a cognizione piena, in apparenza più semplice e meno formale rispetto a quello ordinario.
Tale nuovo rito, previsto dall'art. 281 decies c.p.c., contiene, al co. 1, una dettagliata indicazione del suo ambito applicativo.
Nello specifico, il rito semplificato costituisce l'unico rito previsto dall'art. 316 c.p.c., per proporre domanda giudiziaria dinanzi al giudice di pace , nonché rito elettivo e potenzialmente dominante, per ogni controversia di competenza del tribunale, rientrante nell'ambito di applicazione dell'art. 281 decies c.p.c. : " Quando i fatti di causa non sono controversi, oppure quando la domanda è fondata su prova documentale, o è di pronta soluzione o richiede un'istruttoria non complessa". Ad ogni modo, l'attore, anche al di fuori delle ipotesi elencate al primo comma, può ricorrere di propria iniziativa al procedimento semplificato nelle controversie di competenza del Tribunale in composizione monocratica, benchè, in tal caso, come previsto dall'ultima parte del co. 1 dell'art. 281 duodecies c.p.c., il giudice abbia la facoltà di procedere al mutamento del rito qualora appaia opportuno trattare la causa con il rito ordinario in ragione della "complessità della lite e dell'istruzione probatoria".
Alla luce di questo nuovo quadro normativo, una delle questioni critiche sorte all'indomani dell'entrata in vigore della riforma risulta, appunto, la natura dell'atto di opposizione al decreto ingiuntivo.
A tal proposito, verrebbe da chiedersi quale forma dovrebbe rivestire l' opposizione ai decreti ingiuntivi emessi dal Giudice di Pace e, ancora, per i ricorsi per decreto ingiuntivo depositati prima dell'entrata in vigore della riforma, se l'opposizione sia da instaurarsi secondo la normativa ante o post riforma.
A questi quesiti certamente ad oggi è arduo dare una risposta certa.
Invero, il dettato normativo dell'art. 645 c.p.c., rimasto indenne alla riforma, enuncia chiaramente che: " l'opposizione al decreto ingiuntivo avviene con atto di citazione , presso l'ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso lo stesso decreto ingiuntivo opposto". Pertanto, il codice di rito sembrerebbe non porre alcun dubbio in merito alla forma che dovrebbe essere utilizzata per l'opposizione al decreto ingiuntivo. Ma è pur vero che il nuovo art. 316 c.p.c. interviene stabilendo che davanti al Giudice di pace la domanda si propone nelle forme del procedimento semplificato – aggiungendo, però, - "in quanto compatibili".
Quindi, alla luce di questo inciso, approdo di "salvaguardia" nella parte finale del primo comma dell'art. 316 c.p.c., sembrerebbe non nettamente esclusa una forma diversa di domanda, qualora l' atto, nella fattispecie, il ricorso introduttivo del rito semplificato di cognizione, non sia compatibile. Quindi, in attesa di qualche intervento giurisprudenziale o di una ulteriore modifica legislativa, non possiamo che prendere atto del fatto che, mentre l'art. 645 c.p.c. non lascia margine alcuno nella scelta della forma da utilizzare per la proposizione dell'atto di opposizione al decreto ingiuntivo, il 316 c.p.c. lascia un margine per una forma diversa qualora la tipica non sia compatibile.
Altra questione meritevole di attenzione riguarda il caso in cui è stato depositato un ricorso per decreto ingiuntivo prima della data di entrata in vigore della riforma. Preso atto che l'art. 35 comma 1 del d.lgs. 149/2022 stabilisce che le disposizioni dello stesso decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data e che ai procedimenti pendenti in tale data si applicano le disposizioni anteriormente vigenti, a questo punto, occorrerebbe stabilire se l'opposizione ad un decreto ingiuntivo, il cui ricorso sia stato depositato prima dell' entrata in vigore della riforma, debba considerarsi rientrante o meno tra i procedimenti instaurati successivamente alla data di entrata in vigore della riforma stessa e, pertanto, assoggettabili o meno alla stessa.
Sebbene per i decreti ingiuntivi emessi dal Tribunale, malgrado il sacrificio per la maggiore farraginosità della nuova citazione, in via prudenziale, in ossequio all'art. 645 c.p.c., sarebbe più pacifico l'utilizzo della formula della citazione, resterebbe il problema delle opposizioni al decreto ingiuntivo emesso dal Giudice di Pace.
Per quanto anche a questo proposito non sia ancora possibile dare una risposta certa, è bene evidenziare che esistono diverse tesi ed orientamenti in merito alla natura del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo. Secondo autorevole dottrina (Calamadrei, Chiovenda ecc.) l'opposizione al decreto ingiuntivo è una sorta di impugnazione, con la conseguenza che il giudizio di opposizione debba, appunto, valutare la mera legittimità del decreto ingiuntivo opposto. Secondo altri, invece, con l'opposizione si instaura un giudizio a contenuto nuovo, ma dipendente dalla domanda del ricorrente ( Luiso), perché oggetto del processo non è la legittimità del decreto, quanto piuttosto la legittimità della pretesa dedotta.
Quanto invece alla Giurisprudenza, si segnalala sentenza S.S.U.U. n. 7448/93 , che enuncia a chiare lettere che l'opposizione non è un giudizio autonomo, ma costituisce solo una fase ulteriore, anche se eventuale, del giudizio già pendente a seguito del ricorso promosso dal creditore, finalizzato ad ottenere il decreto ingiuntivo.
Alla stregua di queste considerazioni, il giudizio di opposizione, dunque, non può esaurirsi nella sola mera verifica del controllo della legittimità originaria dell'ingiunzione e nell'accertare se in quel momento sussistevano le condizioni richieste dalla legge, ma si estende anche alla valutazione degli elementi di giudizio acquisiti agli atti ed all'esame della pretesa creditoria. Poiché le condizioni dell'azione vanno accertate con riferimento alla situazione di fatto esistente al tempo della pronuncia e non a quello della domanda, il giudice dell'opposizione deve ritenere fondata la pretesa del creditore se i fatti costitutivi di essa, ancorché non esistenti al momento dell'emissione del decreto, sussistano invece al momento della decisione sull'opposizione, confinando il problema della validità, regolarità e sufficienza del decreto ingiuntivo sul piano delle spese processuali.
Pertanto, l'opposizione prevista dall'art. 645 c.p.c. non è un'actio nullitatis o un'azione di impugnativa nei confronti dell'emessa ingiunzione, ma è un ordinario giudizio sulla domanda del creditore che si svolge in prosecuzione del procedimento monitorio nel quale è ammessa l'integrazione delle prove, la modifica della causa petendi, la proposizione di nuove eccezioni, appunto, perché il giudice dell'opposizione è chiamato ad affrontare e decidere il merito, e cioè accertare sia l'an che il quantum della pretesa del creditore, superando e revocando l'originario decreto ingiuntivo.
Tale indirizzo della Suprema Corte, però, è stato successivamente confutato da altre pronunce (Cass. Civ. S.U. 9769 del 18 luglio 2001; in senso conforme: Cass. Civ. S.U. n. 10984 e n. 10985 del 8/10/1992; Cass. 11 febbraio 1999 n. 1168; Cass. 12 marzo 1999 n. 2215; Cass. 9 aprile 1999 n. 3475; Cass. 13 luglio 1999 n. 7418; Cass. 27 novembre 1999 n. 13281; Cass. 18 febbraio 2000 n. 1828) che ritornavano ad affermare una certa assimilabilità del giudizio di opposizione a quello di impugnazione e, successivamente, da altre ancora ( Cass. Civ. S.U. n. 20604 del 30 luglio 2008 e n. 19246 del 9 settembre 2010), che peroravano la tesi dell'autonomia del giudizio di cognizione rispetto a quella che lo assimilava ad una sorta di impugnazione.
Sebbene gli altalenanti orientamenti contrastanti nel tempo, è bene dire che, la più recente Giurisprudenza di legittimità, a partire dalla sentenza n. 19596 del 18 settembre 2020, ha inteso confermare il primitivo orientamento delle Sezioni Unite del 1993 nel ritenere l'opposizione a decreto ingiuntivo come la seconda fase di un procedimento già pendente suddiviso in due fasi: la prima a cognizione sommaria e la seconda a cognizione piena, principio confermato, in ultimo anche dalla recente sentenza SS.U.U n. 927/2022 che , sul punto si esprime con le seguenti parole: "l'innegabile profilo impugnatorio non fa assurgere l'opposizione ad ingiunzione al rango di un processo di impugnazione in senso proprio, per cui l'opposizione non potrà considerarsi un giudizio d'appello".
Alla luce di quanto esposto, pertanto, in virtù del noto principio del tempus regit actum, bisognerebbe prendere in considerazione la disciplina prevista nel momento di proposizione del ricorso per decreto ingiuntivo e, quindi, se avvenuto prima della riforma, l'opposizione, intesa come prosecuzione del giudizio, dovrebbe seguire le forme anteriormente previste ante riforma.
*a cura dell'avv. Luigi Quintieri , Partner 24 Ore
Marco Marinaro
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