Penale

L’uso improprio del regime Pex genera dichiarazioni infedeli

I giudici hanno rigettato la non punibilità della valutazione

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

A rischio di reato di dichiarazione infedele l'imprenditore che, attraverso un improprio utilizzo del regime Pex, non assoggetta a tassazione la plusvalenza conseguita dalla cessione di partecipazioni. Ad affermarlo è la Cassazione, sezione 3 penale con la sentenza 20001 depositata ieri, intervenuta a seguito di una misura cautelare.

Ipotizzando il reato di dichiarazione infedele in capo al rappresentante legale di una società per aver indebitamente fruito del regime “Pex” per la cessione di partecipazioni, il Gip ordinava il sequestro preventivo diretto e per equivalente di disponibilità liquide e beni. Il tribunale del riesame confermava la misura e la decisione veniva gravata in Cassazione.

Secondo la difesa, tra l'altro, trovava applicazione la causa di esclusione della punibilità prevista dall'articolo 4, comma 1 bis, del Dlgs 74/2000.

Tale norma prevede che ai fini della rilevanza penale, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali.

Nella specie, la riduzione del 95% applicata alla plusvalenza conseguita dalla cessione di partecipazioni rappresentava un elemento “realmente esistente”, a prescindere dalle possibili contestazioni sulla spettanza del beneficio.

La Cassazione, confermando il provvedimento cautelare, ha rilevato che la società aveva omesso di indicare elementi attivi di reddito, attraverso indebite variazioni in diminuzione attraverso il regime Pex, che è subordinato a specifici requisiti. In ogni caso, però, i giudici di legittimità hanno evidenziato che nella dichiarazione dei redditi la plusvalenza generata dalla cessione dapprima è indicata nella sua interezza tra gli elementi che concorrono in positivo alla formazione del reddito e, successivamente, il 95% di quella stessa plusvalenza “ricompare” come variazione in diminuzione.

Ne consegue, pertanto, che tale “riduzione” non rappresenta un elemento per il quale occorre una valutazione di esistenza, dovendosi così escludere la causa di non punibilità richiesta dalla difesa.

Si tratta di uno dei primi interventi sulla rilevanza penale dell'indebita applicazione del regime Pex per asserita mancanza dei requisiti. Vi è da precisare che i giudici sono intervenuti a seguito della misura cautelare e quindi si sono limitati a valutare il “fumus” del reato. Per confermare tale rilevanza penale sarà quindi decisivo attendere le prime valutazioni anche sulla effettiva colpevolezza dell'imputato.

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