L'utilizzo delle intercettazioni telefoniche nel processo sportivo
Le intercettazioni telefoniche possono legittimamente entrare nel procedimento disciplinare-sportivo solo se facenti parte di atti provenienti da un giudizio penale e, come tali, avendo già superato il vaglio della loro legittimità in tale sede
Le intercettazioni telefoniche sono mezzi di ricerca della prova che possono essere utilizzate in un giudizio penale solo in presenza di precise condizioni previste dalla legge.
Difatti, le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altre forme di telecomunicazione limitano alcune importanti libertà costituzionali, tra le quali la libertà di domicilio e la libertà di corrispondenza e di comunicazione, per le quali sono dettate particolari norme procedurali rivolte a garantire la legittimità formale e sostanziale dell'attività d'indagine per il loro impiego.
Va osservato che mentre nell'ordinamento statale, il Pubblico Ministero può disporre detti mezzi di ricerca della prova in relazione al procedimento penale per il quale indaga e con dati limiti previsti dalla legge; nell'ordinamento sportivo, invece, manca totalmente una vera e propria distinzione tra mezzi di prova e mezzi di ricerca della prova, nonché una disciplina ad hoc sull'utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche.
In ogni caso, considerato che solo il giudice penale può disporle, le intercettazioni telefoniche possono legittimamente entrare nel procedimento disciplinare-sportivo solo se facenti parte di atti provenienti da un giudizio penale e, come tali, avendo già superato il vaglio della loro legittimità in tale sede.
Per tale ragione, le intercettazioni telefoniche possono essere utilizzate come vere e proprie prove al fine dell'accertamento di una violazione disciplinare e possono essere acquisite nell'ambito di un'indagine penale ed essere "pienamente utilizzate anche nei procedimenti innanzi alla giustizia sportiva". Ciò sul presupposto che "la normativa consente l'acquisizione e l'utilizzazione delle indagini svolte nei procedimenti penali, tra le quali rientrano le intercettazioni telefoniche, nei giudizi instaurati innanzi agli organi di giustizia sportiva" (Cfr. TAR Lazio, Sez. III ter, 19 marzo 2008, n. 2472).
Il procedimento penale e quello disciplinare, pur rimanendo reciprocamente autonomi, possono - doverosamente - tener conto di quanto acquisito nelle rispettive indagini: per tale motivo, non solo il Codice della Giustizia Sportiva del CONI prevede espressamente detta interazione , ma successivamente sono state conclusi espressi accordi di collaborazione tra le Procure della Repubblica e la Procura Generale del CONI , al fine di assicurare il rispetto della legalità in tutti gli ambiti sportivi.
Nel giudizio disciplinare-sportivo, quindi, gli organi giudicanti possono utilizzare e ritenere valutabili gli elementi probatori rinvenienti da procedimenti penali.
È ormai consolidata la giurisprudenza secondo la quale, per l'appunto, le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche, ovvero delle comunicazioni informatiche derivanti da paralleli procedimenti penali, sono pienamente utilizzabili nei procedimenti disciplinari, in funzione degli elementi suscettibili di valutazione che le stesse sono in grado di fornire.
La questione sull'utilizzabilità di detti mezzi di prova provenienti da procedimenti penali, e utilizzati nei giudizi disciplinari, è stata posta all'attenzione della giurisprudenza amministrativa, la quale si è espressa nel senso che, in conformità al principio di libera utilizzazione degli elementi di prova acquisiti in procedimenti diversi, opera il principio di non tipicità e tassatività dei mezzi di prova (Cfr. TAR Lazio).
In buona sostanza, in virtù del principio di "atipicità dei mezzi di prova" e "libera circolazione delle prove" tra giudizi penali e procedimenti da questi diversi, le intercettazioni sono pienamente utilizzabili nel procedimento disciplinare.
Sul punto, anche la giurisprudenza di legittimità si è espressa, statuendo che il divieto di utilizzo delle intercettazioni telefoniche in procedimenti diversi da quello in cui le stesse sono state disposte, non è applicabile ai giudizi disciplinari. (Cfr. Cass. Pen., Sez. Un., 29 maggio 2009, n. 12717 in Dir. e Giust. 2009).
È ancora il TAR a stabilire che le decisioni degli organi di giustizia sportiva sarebbero "l'epilogo di procedimenti amministrativi (seppure in forma giustiziale) e non già giurisdizionali, sicché non possono ritenersi presidiati dalle garanzie del processo. In particolare, nella giustizia sportiva, si applicano oltreché le regole sue proprie, previste dalla normativa federale, per analogia, quelle dell'istruttoria procedimentale, ove vengono acquisiti fatti semplici e complessi che possono anche investire la sfera giuridica di soggetti terzi." (Cfr. TAR Lazio, Sez. III ter, 8 giugno 2007 n. 5280). Orbene, appare pacifica la possibilità di far transitare nel procedimento disciplinare sportivo quanto acquisito in sede penale, ivi comprese le intercettazioni.
Invero, già in una vicenda avanti il TAR, che coinvolgeva un tesserato ed una Federazione Sportiva Nazionale, il ricorrente lamentava che in fase di indagini del giudizio disciplinare, per il quale era stato deferito dinnanzi agli organi di giustizia sportiva, la Procura federale aveva assunto illegittimamente, ed usato arbitrariamente, le intercettazioni telefoniche che lo riguardavano. A giudizio del Tribunale amministrativo si trattava di una censura infondata poiché dette intercettazioni erano state acquisite dalla Procura della Repubblica territorialmente competente interessata, evidenziando come ciò fosse (ed è) possibile sulla base della normativa di cui all'articolo 2, comma 3 della Legge del 13 dicembre 1989 n. 401 : il materiale proveniente dai procedimenti penali pendenti dinanzi all'Autorità giudiziaria statale consente agli organi della disciplina sportiva di chiedere copia degli atti del procedimento penale a norma dell'articolo 116 del c.p.p.. (Cfr. TAR Lazio, Sez. III ter, 3 maggio 2007 n. 5280).
La vicenda, in ogni caso, riguardava un tesserato accusato di aver fatto uso e cessione di sostanze dopanti. Il trasferimento delle sostanze dopanti a terzi, principalmente a calciatori, emergeva dalle conversazioni telefoniche.
Sebbene il giudizio penale si fosse concluso con un provvedimento di archiviazione, gli organi di giustizia sportiva della Federazione interessata avevano irrogato al tesserato la sanzione di 4 anni di inibizione.
Il diverso epilogo dei due procedimenti, penale e sportivo, non è in contrasto con i principi del diritto, atteso che il procedimento disciplinare ha come oggetto di accertamento una sfera più ampia rispetto al giudizio penale: si valuta, infatti, il comportamento del tesserato da un punto di vista dell'obbligo più generale del rispetto della lealtà, probità e dignità, rispetto al processo penale che sanziona solo i comportamenti espressamente vietati dalla legge. Fermo restando che, qualora il capo di incolpazione sia coincidente con il capo di imputazione e il tesserato sia stato assolto con la formula "fatto non sussiste" o "fatto non commesso", vi sarà sempre spazio per un giudizio di revisione della condanna, qualora in sede disciplinare il procedimento si sia concluso con decisione sanzionatoria.
Tale apparente distonia tra i due giudizi, oltre ad essere determinata dalla diversa possibilità di acquisire elementi indagine, è vincolata dai tempi strettissimi assegnati dai regolamenti per la definizione dei giudizi sportivi. Per tale motivo, è espressamente previsto che qualora successivamente emergano nuovi elementi di prova, la decisione di condanna sportiva possa essere riesaminata.
In conclusione, va osservato che è ancora irrisolta la questione inerente i giudizi sportivi circa la possibilità di porre rimedio ad eventuali errori di giudizio determinati dalla mancata conoscenza di prove acquisite e messe a disposizione dall'Autorità penale in momenti successivi alla conclusione del giudizio sportivo, soprattutto quando l'incolpato sia un atleta di livello apicale, atteso che il decorso del tempo in assenza della possibilità di partecipare alle competizioni sportive non è un elemento di natura di poco conto.
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*A cura di
Stefania Cappa, Avvocato specializzato in Diritto dello Sport e Diritto Penale; Partner dello Studio Legale Ermanno Cappa & Partners; Procuratore Federale FISI - Federazione Italiana Sport Invernali; Giudice Sportivo Territoriale Area Nord FGI - Federazione Ginnastica d'Italia e Membro della Commissione Diritto dello Sport ed Eventi Sportivi dell'Ordine degli Avvocati di Milano.
Michele Rossetti, Avvocato penalista abilitato al patrocinio innanzi le giurisdizioni superiori dal 2002. Docente presso la Scuola di Formazione Forense di Taranto, componente dell'Osservatorio delle scuole di alta specializzazione dell'Unione delle Camere Penali Italiane. Coautore di testo scientifico sul diritto sportivo, nonché autore e coautore di diversi articoli scientifici in diritto sportivo. Procuratore Federale FGI - Federazione Ginnastica d'Italia.