Civile

La Asl che manda un paziente in una struttura accreditata deve pagare anche se il prolungamento non è stato autorizzato

Anche se il termine è scaduto deve farsi carico dei costi fino a che non sia disposta una diversa collocazione dell'assistito

di Mario Finocchiaro

La Asl che abbia autorizzato temporaneamente la collocazione di un proprio assistito presso una struttura accreditata, prevedendo che l'eventuale prolungamento del trattamento venga autorizzato mediante una nuova valutazione dell'UVI, è tenuta a sostenere l'onere della quota sanitaria anche dopo che il termine originario sia scaduto senza che si sia provveduto ad autorizzare il prolungamento mediante la nuova valutazione, fintantoché non sia stata disposta una diversa collocazione dell'assistito che consenta alla struttura di interrompere le proprie prestazioni senza pregiudizio per il disabile. Lo ha stabilito la sezione III della Cassazione con un principio enunciato in motivazione, ai sensi dell'articolo 384 Cpc con l'ordinanza 2 maggio 2022 n. 13737.

Un principio innovativo
Questione nuova, sulla quale non risultano precedenti.
In termini generali, nel senso che tema di assistenza sanitaria pubblica, l'obbligo di erogare le relative prestazioni grava sul Servizio Sanitario Nazionale, nei limiti ed alle condizioni previste dalla legge, ed è governato dal principio della universalità, in forza del quale ogni assistito ha diritto di scegliere il luogo di cura ritenuto preferibile, ove sussistano motivate ragioni (che possono consistere semplicemente nella maggiore o minore fiducia riposta in una struttura piuttosto che in un'altra, ovvero nella più adeguata specializzazione ed esperienza della struttura prescelta o nella sua ubicazione geografia), sicchè ogni struttura sanitaria accreditata o convenzionata ha il correlato dovere di accettare qualunque persona chieda il ricovero ed il diritto di ottenere il rimborso dei costi conseguenti, dovendo escludersi che l'accesso alle cure sia subordinato alla preventiva autorizzazione della Asl, Cassazione, ordinanza 3 agosto 2017, n. 19335.
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 3 agosto 2015, n. 3806, richiamata in motivazione, nella sentenza in rassegna, non risulta massimata, né edita, la stessa comunque, ha affermato che l'obbligo della Asl (UVM) di procedere alla verifica, in prossimità della scadenza del PAI e con anticipo adeguato a consentire che la eventuale dimissione del paziente avvenga in modo tempestivo e proficuo, secondo la destinazione consona alla sua attuale condizione. La misura di tale anticipazione temporale potrà essere disciplinata mediante un'integrazione dell'accordo contrattuale, con riferimento alle diverse situazioni e sulla base dello scambio di informazioni a ciò finalizzate. Fermo restando che, in mancanza di tempestiva verifica, il tempo trascorso fino alla dimissione concordata dovrà ritenersi compreso in quello autorizzato e soggetto a remunerazione. (Ivi, altresì, il rilievo secondo cui può aggiungersi che l'applicazione dei correttivi ipotizzati dalla difesa della ASL per disincentivare eventuali comportamenti non collaborativi e speculativi della r.s.a., esula dal presente giudizio, apparendo detti correttivi inevitabilmente legati, o ad una integrazione del contratto nell'ambito dell'accreditamento (come per l'applicazione, alla scadenza, di tariffe più basse, relative ai pazienti non Alzheimer o agganciate a quelle delle strutture socio-assistenziali con ricovero a tempo indeterminato, come le r.s.s.a. e le case protette), o addirittura ad una modifica normativa (come per la messa a carico della famiglia dei costi di trattenimento in r.s.a.).

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©