Lavoro

La cassa integrazione per tutto il personale prevale sul trattamento di malattia ma non sospende il comporto

Il mutamento del titolo dell'assenza è consentito solo se è il lavoratore a richiederlo

di Alberto De Luca, Claudia Cerbone*

Sebbene il trattamento di cassa integrazione disposto per tutta la forza aziendale (o un intero reparto) prevale sul trattamento di malattia, il periodo di comporto continua a decorrere. Ne consegue che è legittimo il licenziamento del dipendente che abbia superato il comporto in tali circostanze.

È questo quanto affermato dal Tribunale di Foggia con ordinanza del 17 luglio 2021 , il quale, chiamato a pronunciarsi sulla validità di un licenziamento per superamento del periodo di comporto, ha dichiarato che anche se il trattamento di integrazione salariale sostituisce, in caso di malattia, la relativa indennità giornaliera, il datore di lavoro non può autonomamente modificare il titolo dell'assenza del dipendente, con la conseguenza che il periodo di comporto in caso di malattia certificata continua a decorrere sino a quando non sia il dipendente a richiedere il mutamento dell'imputazione della sua assenza dal lavoro.

In particolare, nel caso di specie, un dipendente veniva licenziato per aver fruito di un periodo di malattia di complessivi giorni 430 a fronte dei 420 giorni previsti dal contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro.

Il dipendente, dunque, agiva in giudizio chiedendo l'accertamento della illegittimità del provvedimento espulsivo, deducendo di essere stato collocato, unitamente a tutti gli altri dipendenti della Società datrice di lavoro, in Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria con causale Covid-19, la quale aveva sostituito ad ogni effetto il periodo di malattia di cui stava fruendo.

A sostegno della propria tesi, il dipendente richiama l'art. 3, comma 7, del D.lgs. 148/2015, nonché la Circolare INPS n. 197/2015, in base al quale "il trattamento di integrazione salariale sostituisce in caso di malattia l'indennità giornaliera di malattia, nonché l'eventuale integrazione contrattualmente prevista".

Il Tribunale nel respingere il ricorso promosso – richiamando le argomentazioni espresse dal Tribunale di Pesaro con sentenza n. 16/2021 – ha sottolineato che con il citato art. 3, comma 7, del D.lgs. 148/2015, il Legislatore ha inteso esclusivamente prevedere una diversa imputazione della prestazione economica ricevuta dal dipendente in caso di fruizione di un periodo di integrazione salariale, che resta, comunque, di competenza dell'INPS (come nel caso della malattia), non volendo intervenire sulla causale dell'assenza che attiene invece al rapporto privato tra lavoratore e datore di lavoro.

Tale diversa imputazione, dunque, nulla ha a che vedere con il comporto e sul titolo della sospensione della prestazione lavorativa.

È infatti da escludere, secondo il Tribunale, che il datore di lavoro possa arbitrariamente mutare il titolo dell'assenza del lavoratore quando lo stesso è in malattia, perché ciò significherebbe attribuire al datore di lavoro un potere extra ordinem, che si porrebbe addirittura in contrasto con un diritto di garanzia costituzionale, quale il diritto alla salute.

In quest'ottica, il Tribunale ricorda che il mutamento del titolo dell'assenza è consentito sole se sia il lavoratore a richiederlo, come ad esempio avviene quando il dipendente sostituisce alla malattia la fruizione delle ferie allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto.

In questo caso, grava poi sul datore di lavoro, accettare o meno tale richiesta e, in caso di rifiuto, dedurre le ragioni organizzative (concrete ed effettive) che hanno portato alla negazione del periodo feriale.

In definitiva, dunque, la possibilità di mutare il titolo dell'assenza per malattia, al fine di sospendere il decorso del periodo di comporto, spetta esclusivamente al lavoratore, operando, in difetto di prova contraria (che è onere del lavoratore fornire), una presunzione di continuità dell'episodio morboso addotto dal dipendente quale causa della sospensione della prestazione lavorativa.

Applicando i richiamati principi alla fattispecie al vaglio del Giudice di merito, avendo il lavoratore inviato i certificati di malattia in maniera continuativa e non avendo espressamente richiesto alla società datrice di lavoro il mutamento del titolo dell'assenza, lo stesso ha dimostrando, con comportamento concludente, di voler proseguire lo stato di malattia, con conseguente avanzamento del periodo di comporto.

A nulla vale, al riguardo, la circostanza dedotta in giudizio dal dipendente, secondo cui la società non gli avrebbe mai comunicato il suo collocamento in cassa integrazione, in quanto ciò che rileva è il dato obiettivo e cioè che il lavoratore, nel periodo di riferimento, abbia continuato ad inoltrare al datore di lavoro i certificati medici attestanti il suo stato di malattia.

Il Tribunale, in conclusione, con la pronuncia in commento, ha interpretato il richiamato dettato normativo di cui all'art. 3, comma 7 del D-Lgs. 148/2015 in maniera restrittiva (per il prestatore di lavoro!) escludendo la sospensione del periodo di comporto dalla sostituzione del trattamento di integrazione salariale con il trattamento di malattia.

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*A cura degli Avv. ti Alberto De Luca– Partner /Claudia Cerbone, – Associate, De Luca & Partners

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