Lavoro

La certificazione della parità di genere: quali KPI e come giocare d'anticipo

La prassi UNI delinea un sistema di certificazione con pesi ponderati per le rispettive 6 aree appena delineate, relativi KPI che variano di numero ed assumono una diversa incidenza percentuale sul punteggio complessivo, a seconda delle dimensioni dell'impresa

di Andrea Ceppitelli*

La Certificazione della Parità di Genere è una delle principali novità di questo 2022, con la quale il Legislatore ha inteso dare concretezza alla Missione V del PNRR, di "intensificare l'impegno ad eliminare le disparità di genere nel mondo del lavoro e nella vita sociale".

Le imprese che intendono giocare d'anticipo, possono cominciare ad organizzarsi: sebbene non sia ancora stato pubblicato il relativo DPCM, a fine marzo la ministra per le Pari Opportunità Elena Bonetti ha presentato la prassi UNI/PdR 125:2022 (disponibile sul sito http://store.uni.com), un documento elaborato dal relativo tavolo tecnico di concerto con UNI-Ente Italiano di Normazione che fornisce un quadro dettagliato dei fattori che saranno valutati.

Andiamo con ordine: introdotta con il nuovo art. 46 bis del D. Lgs. 198/2006 (ad inserirlo è stata la L. 5 novembre 2021, n. 162, n.d.r.), la Certificazione di Parità di Genere consente alle imprese di ottenere migliori graduatorie nell'accesso a finanziamenti pubblici e nelle gare pubbliche d'appalto, oltre a sgravi contributivi dell'1% fino a un massimo di 50 mila euro all'anno per impresa.

La certificazione sarà rilasciata dall'omonimo dipartimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, sulla base di specifici indicatori ("KPI") atti a misurare il livello di inclusione per genere in sei aree predeterminate e riguardanti: Cultura e strategia; Governance; Processi HR; Opportunità di crescita; Equità remunerativa e Tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro.

La prassi UNI delinea un sistema di certificazione con pesi ponderati per le rispettive 6 aree appena delineate, relativi KPI che variano di numero ed assumono una diversa incidenza percentuale sul punteggio complessivo, a seconda delle dimensioni dell'impresa.Secondo una prima simulazione, un'impresa che occupa dai 10 ai 49 dipendenti per essere certificata dovrà conseguire, fino a concorrenza del punteggio minimo del 60%, i seguenti KPI:

- adottare un "piano strategico" per verificare ed eliminare le disparità di genere;

- implementare un'adeguata "comunicazione interna" e "sensibilizzazione" per promuovere comportamenti e linguaggio rispettosi delle diversità;

- prevedere un percorso di "Formazione" almeno biennale per evitare "unconscious bias";

- istituire un "Comitato" od altra funzione per gestire e monitorare tali tematiche, nonché elaborare dei "processi" per identificare e risolvere ogni forma di non inclusività (nella medesima ottica, nominare dei "referenti" e redigere delle "prassi" per contrastare episodi di molestie o mobbing);

- definire delle modalità di "selezione" e "valutazioni prestazioni" neutrali per genere;- attivare delle politiche di "mobilità interna" e successione a "posizioni manageriali" coerenti con i principi di un'organizzazione inclusiva; - attivarsi per raggiungere una crescita del 10% delle "donne assunte a tempo indeterminato" e delle donne con "qualifica di dirigente" rispetto al biennio precedente, fino al raggiungimento della parità;

- assicurare che la "differenza retributiva" per medesimo livello di inquadramento sia contenuta entro il 10% e vada a decrescere negli anni fino ad azzerarsi;

- instaurare delle "policy, oltre il CCNL di riferimento" dedicate alla tutela della genitorialità e "servizi" per la conciliazione dei tempi di vita personale e lavorativa, quali ad esempio: estensione del congedo di paternità; piani welfare e asilo nido aziendale, coaching durante e dopo il congedo, accesso a part-time reversibile e smart working; così come policy che assicurino il mantenimento dei "benefits durante la maternità" ed iniziative per tutelare la relazione tra azienda e dipendente prima, durante e dopo la maternità/paternità.

Con criteri meno stringenti lo stesso impegno è richiesto ad aziende con meno di 10 dipendenti, mentre maggiori vincoli saranno richiesti alle imprese con oltre 50 dipendenti.

Queste ultime saranno soggette a tutti i 31 KPI che la prassi UNI stabilisce. Dalla presenza di meccanismi di analisi del turnover in base al genere e di protezione del posto di lavoro post-maternità, alla percentuale di donne responsabili di unità organizzative od a primo riporto dei vertici, passando per la parità nell'accesso a promozioni e forme di retribuzione variabile, tali imprese dovranno non solo raggiungere, ma migliorare negli anni una proporzione uomo/donna negli indicatori nevralgici dell'impresa al fine di mantenere attiva la certificazione nel corso del tempo.

Siamo ancora all'inizio, di un percorso che vedrà nei prossimi anni una sempre maggiore attenzione del nostro Legislatore al rafforzamento delle forme di inclusione in ambito lavorativo. La strada è tracciata, con l'auspicio che siano in tanti coloro che sceglieranno di percorrerla.

*a cura del l'avv. Andrea Ceppitelli, Counsel dello studio Nunziante Magrone

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