Penale

La complessa vicenda della qualificazione giuridica del millantatore che si fa dare il denaro "col pretesto"

La diversità del bene protetto della fattispecie penale descritta dall'articolo 640 c.p. e quella indicata dall'articolo 346-bis c.p. consente il concorso formale fra le due norme.

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di Matilde Bellingeri *


La diversità del bene protetto della fattispecie penale descritta dall'articolo 640 c.p. e quella indicata dall'articolo 346-bis c.p. consente il concorso formale fra le due norme.

Così si è espressa la Sesta Sezione Penale della Suprema Corte (sentenza n. 1869/21, depositata il 18 gennaio) circa la sussistenza di continuità normativa tra il reato di millantato credito e quello di traffico di illecite influenze.

Il delitto di traffico di influenze illecite previsto dall'art. 346 bis c.p. è stato introdotto con la L. n. 190/2012. Precedentemente, l'unica fattispecie astrattamente idonea a reprimere le condotte corruttive volte ad alimentare i mercati illegali e la libera concorrenza era il millantato credito (346 c.p.) il quale prevedeva:

1) al comma 1, l'ipotesi in cui la promessa o dazione di denaro o altra utilità fosse funzionale alla remunerazione del mediatore per l'attività svolta nei confronti del pubblico ufficiale "come prezzo della propria mediazione";

2) al comma 2, l'ipotesi consistente nel farsi dare o promettere denaro o altre utilità "col pretesto di dover comprare il favore del pubblico ufficiale o impiegato o di doverlo remunerare".

La differenza risiedeva nella prospettazione che il "venditore di fumo" ne avrebbe fatto al "potenziale" corruttore, come prezzo o come costo della propria mediazione. Le condotte previste dall'art. 346, comma 2 c.p. si ponevano in rapporto di specialità con il delitto di truffa, la condotta censurata avrebbe potuto realizzarsi solo attraverso quegli artifici e raggiri propri del reato di truffa.

La L. n. 190/2012 ha introdotto la fattispecie di traffico di influenze illecite (346 bis c.p.) prevedendo la punizione di chi, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, si faceva dare o promettere a sé o ad altri, indebitamente, denaro ad altra utilità, come prezzo della propria mediazione (a vantaggio del mediatore) o, in alternativa, quale remunerazione, destinata al pubblico ufficiale.

Tale fattispecie, molto simile a quella del millantato credito, introduceva una sanzione per il compratore dell'influenza indebita.

Gli elementi differenziali tra l'art. 346 bis e il millantato credito (art. 346) erano essenzialmente due:

1) l'inserimento dell'aggettivo "esistenti", come elemento qualificante le relazioni sussistenti tra il mediatore e il pubblico ufficiale;

2) l'espressa previsione della punibilità del privato che indebitamente dà o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale. Sul piano intertemporale, la riforma Severino aveva ad ogni effetto introdotto una nuova incriminazione, con conseguente applicabilità del principio irretroattività sfavorevole di cui all'art. 2, I, c.p. per il traffico di influenze commesso in epoca antecedente al 2012.

Successivamente, la legge n. 3/2019 ha abrogato il millantato credito (346 c.p.) e contestualmente riformulato il traffico di influenze (346 bis c.p.), ricomprendendovi oltre allo sfruttamento di relazioni esistenti con un pubblico ufficiale, anche la condotta di chi vanta relazioni puramente asserite. L'intento del legislatore era quello di realizzare una piena continuità normativa tra le fattispecie in esame. Tale obiettivo si è pacificamente realizzato con riferimento alla condotta in precedenza prevista dall'art. 346 comma 1 c.p.; a diversa conclusione si deve invece giungere con riferimento alle condotte in precedenza punite al comma 2 dell'art. 346 c.p. il quale prevedeva la punibilità di colui il quale riceve la dazione " col pretesto di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale, o di doverlo remunerare".

I contrasti.

Secondo quanto affermato da Cass. pen. n. 5221/2020 "la mancata riproposizione del termine "pretesto" contenuto nella precedente ipotesi di reato o altro di natura equipollente, che come sopra osservato, fondava il carattere autonomo della fattispecie di reato di cui all'art. 346, comma secondo, cod. pen. - inserendo la stessa in una storicamente riconosciuta particolare ipotesi di truffa - fa ritenere che non vi sia identità tra la norma abrogata e quella oggi prevista dall'art. 346 bis c.p. per come modificata dalla L. 9 gennaio 2019, n 3". Come si è accennato in precedenza, l'art. 346 comma 2 c.p. era in rapporto di specialità unilaterale con la fattispecie di cui all'art. 640 c.p. In relazione alle condotte commesse "col pretesto", dunque, si sarebbe realizzata un'ipotesi di abrogazione con contestuale riespansione dell'art. 640 c.p.

Inoltre, per effetto della modifica del 2019, il comma 2 art. 346 bis c.p. ha esteso alle condotte originariamente previste dall'art. 346 comma I c.p. la punibilità per il privato "potenziale" corruttore, rappresentando un fenomeno di nuova incriminazione, con conseguente applicazione del principio di irretroattività sfavorevole. Conseguentemente, dopo il 2019, non sarà punibile il soggetto che effettua la dazione al "venditore di fumo".
Questo orientamento non ha trovato conferma nella recente pronuncia della Cass. pen. n. 1869/2021, la quale non condivide la precedente prospettiva ermeneutica per diverse ragioni. In primo luogo, non avrebbe analizzato il fatto che entrambe le ipotesi di cui all'art. 346 c.p. prevedevano un delitto del privato contro la P.A., il cui retto e imparziale funzionamento costituisce l'unico oggetto della tutela, leso, nell'ipotesi di cui al comma 2, dal fatto che il pubblico ufficiale verrebbe prospettato quale persona corrotta o corruttibile.
Inoltre, la precedente pronuncia avrebbe disatteso quell'orientamento secondo il quale, l'ipotesi di cui al comma 2 dell'art. 346 c.p. si differenzierebbe dal delitto di truffa per due ragioni. Da un lato, per la diversità della condotta (non essendo necessaria né la millanteria né una generica mediazione); da altro, per l'oggetto della tutela penale (rispettivamente il prestigio della pubblica amministrazione e il patrimonio). Con la conseguenza che l'unica parte offesa ex art. 346 c.p. sarebbe la pubblica amministrazione e non, anche, colui il quale abbia versato somme al millantatore. Ciò considerato, secondo la pronuncia in commento, il reato di millantato credito potrebbe concorre, formalmente, con quello di truffa, stante la diversità dell'oggetto della tutela penale.

Le due norme si porrebbero, contrariamente rispetto a quanto precedentemente affermato, in totale continuità normativa non verificandosi ipotesi di abrogatio criminis integrale.
Sebbene, in astratto, la neonata macro-fattispecie di cui all'art. 346-bis c.p. sembri avere una dimensione applicativa amplissima, è ben evidente come i problemi di coordinamento tra l'art. 640 c.p. e l'art. 346 c.p., oggetto di serrato dibattito tra i penalisti, siano destinati a riproporsi in relazione all'art. 346-bis c.p.

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