Amministrativo

La disciplina del Canone Unico dimentica l'esenzione dei mezzi pubblicitari obbligatori per legge o regolamento

La disciplina del Canone unico patrimoniale non ripropone espressamente l'esenzione per le esposizioni obbligatorie per legge o per norma regolamentare. È necessario quindi raccordare e ricostruire la disciplina vigente con quella abrogata per evitare un potenziale cortocircuito giuridico

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di Tommaso Ventre*

L'applicazione pratica del nuovo canone unico patrimoniale, previsto dai commi da 816 a 847 della Legge 160/2019 ed istituito dagli Enti con appositi regolamenti, sempre ai sensi del comma 821 della citata normativa, sta ingenerando non poche criticità interpretative tra gli operatori del settore.

Un punctum dolens, passato probabilmente in secondo piano in una prima fase del dibattito ma che ora si sta ponendo in tutta la sua potenziale esplosività, è quello rappresentato dalle esenzioni per i mezzi pubblicitari la cui esposizione risulti obbligatoria in forza di disposizioni di Legge o di altri fonti normative anche secondarie (es: Regolamenti Comunali).

Infatti, il previgente testo normativo, oggi abrogato, prevedeva alla lettera i) del comma 1 dell'articolo 17 del Decreto Legislativo 15/11/1993, n.507, che fossero esenti da imposta: "le insegne, le targhe e simili la cui esposizione sia obbligatoria per disposizione di legge o di regolamento sempre che le dimensioni del mezzo usato, qualora non espressamente stabilite, non superino il mezzo metro quadrato di superficie ".

La Legge 160/2019 all'articolo 1 del comma 833 , dedicato alle esenzioni, non fa cenno alcuno alle fattispecie in questione.

Volendo ricercare una norma che vi si avvicini la sola lettera q) con una formulazione testualmente diversa in qualche modo affronta alcune delle questioni citate disponendo che sono esenti "i mezzi pubblicitari inerenti all'attività commerciale o di produzione di beni o servizi ove si effettua l'attività stessa, nonché i mezzi pubblicitari, ad eccezione delle insegne, esposti nelle vetrine e sulle porte d'ingresso dei locali medesimi purché attinenti all'attività in essi esercitata che non superino la superficie di mezzo metro quadrato per ciascuna vetrina o ingresso".

Questa norma sembra ripercorrere la previgente disposizione della lettera a) del comma 1 dell'articolo 17 del Decreto Legislativo 15/11/1993, n.507 che esentava "la pubblicità realizzata all'interno dei locali adibiti alla vendita di beni o alla prestazione di servizi quando si riferisca all'attività negli stessi esercitata, nonché i mezzi pubblicitari, ad eccezione delle insegne, esposti nelle vetrine e sulle porte di ingresso dei locali medesimi purché siano attinenti all'attività in essi esercitata e non superino, nel loro insieme, la superficie complessiva di mezzo metro quadrato per ciascuna vetrina o ingresso".

Dal raffronto tra le due norme si evince tuttavia una sostanziale modifica nel primo periodo delle stesse.

La nuova formulazione ha portata più ampia e generica della previgente facendo riferimento ai mezzi pubblicitari e non alla pubblicità.

Oltretutto né nella vecchia né nella nuova disciplina era dato ed è dato avere una definizione di mezzo pubblicitario, e la nuova formulazione ben potrebbe quindi essere interpretata ricomprendendo nei mezzi pubblicitari anche quelli "inerenti" l'attività commerciale obbligatori per legge o per disposizione regolamentare.

Infatti la locuzione mezzo pubblicitario non implica né sottende la creazione di un valore ascrivibile a colui che lo espone involvendo unicamente lo strumento attraverso cui viene pubblicizzato ovvero messo in pubblico, reso di pubblico dominio il messaggio ivi contenuto.

L'unica norma che allora sembrerebbe potere ricomprendere la fattispecie è la lettera b) del comma 833 secondo cui sono esenti "le occupazioni con le tabelle indicative delle stazioni e fermate e degli orari dei servizi pubblici di trasporto, nonché i mezzi la cui esposizione sia obbligatoria per norma di legge o regolamento, purché di superficie non superiore ad un metro quadrato, se non sia stabilito altrimenti". Tuttavia anche in questa norma la mancata qualificazione dei "mezzi" potrebbe ingenerare delle problematiche interpretazioni.

Sicché l'indagine non può che dovere essere indirizzata verso l'integrazione del presupposto oggi incardinata dal comma 819 nell'ambito della "diffusione di messaggi pubblicitari".

E qui la locuzione andrebbe quindi interpretata come quella forma di comunicazione avente lo scopo di promuovere la domanda di beni o servizi ovvero di migliorare la immagine aziendale (Cass. sez. 5, 12 /01/2012, n. 252).

Fuori da questi casi mancherebbe l'integrazione del presupposto, proprio come nel caso qui in esame ove l'esposizione di un determinato mezzo pubblicitario sia resa obbligatoria da una disposizione normativa primaria o secondaria che non potrebbe ritenersi, per natura e struttura, in grado di diffondere alcun messaggio pubblicitario (Cass. sez. 5, 02/07/08 n. 22572).

Se invece si volesse ricondurre tale fattispecie all'applicazione della lettera f) del comma 821 - che consente di disciplinare le ulteriori esenzioni o riduzioni rispetto a quelle disciplinate dai commi da 816 a 847- la stessa risulterebbe affidata alla "discrezionalità" di ogni singolo Ente che avrebbe l'onere, eventuale, di disciplinare la materia tramite l'esercizio della potestà regolamentare di cui all'art. 52 del D.Lgs. 446/97.

La questione appare tutt'altro che marginale o secondaria. Il fenomeno, infatti, riguarda e coinvolge non poche attività economiche quali, ad esempio, farmacie, rivendite di tabacchi, ricevitorie, ecc. che, in assenza di una espressa previsione regolamentare, potrebbero vedersi costrette ad assolvere al pagamento del nuovo canone per l'esposizione di messaggi pubblicitari che, tuttavia, si sono visti obbligati ad installare onde rispettare Leggi a valenza nazionale, regionale o addirittura secondo quanto previsto proprio da altri Regolamenti dello stesso Ente che, adesso, ne verrebbe a pretendere il prelievo.

Potrebbe in buona sostanza ingenerarsi un pericoloso corto circuito giuridico sicuramente foriero di potenziale contenzioso.Da un lato, infatti, potremmo avere il Comune che con proprio Regolamento, ad esempio sul commercio o edilizio o su altra materia, impone, disponendone magari le caratteristiche tipologiche (colore, forma, dimensioni, ecc.), l'esposizione di un determinato manufatto pubblicitario, appunto per agevolare l'individuazione della sede di erogazione del servizio, e dall' altro, sempre lo stesso identico Comune che, per i mezzi pubblicitari la cui esposizione è stata imposta, pretende anche il versamento del canone unico.

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*A cura di Tommaso Ventre, Avvocato, Professore aggregato di Governance dei tributi locali presso l'Università della Campania Luigi Vanvitelli

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