Civile

La domanda di risoluzione per inadempimento non è modificabile in recesso

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di Mario Finocchiaro

Proposta domanda di risoluzione per inadempimento – volta al riconoscimento del diritto al risarcimento integrale dei danni asseritamente subiti – non è consentita la trasformazione di tale domanda in domanda di recesso con ritenzione di caparra, atteso che altrimenti verrebbe a vanificarsi la stessa funzione della caparra, quella, cioè, di consentire una liquidazione anticipata e convenzionale del danno volta a evitare la instaurazione di un giudizio contenzioso, consentendosi in ammissibilmente alla parte non inadempiente di scommettere puramente e semplicemente sul processo, senza correre rischi di sorta. Lo hanno chiarito i giudici civili della terza sezione della Cassazione con la sentenza n. 24337.

Un insegnamento confermato e disatteso - Come osservato in motivazione, con la pronunzia in rassegna la S.C. conferma l'insegnamento contenuto in Cassazione, sez. un., sentenza 14 gennaio 2009, n. 553 (in Guida al diritto, 2009, f. 5, p. 65, con nota di Castro) che aveva risolto un contrasto di giurisprudenza sul punto.
Tale insegnamento è stato – nel tempo – ribadito, altresì, da Cassazione, sentenze 10 ottobre 2011, n. 20798 e 2 marzo 2015, n. 4164.
Lo stesso – peraltro – è stato disatteso in almeno due occasioni, dalla stessa Corte di Cassazione.
Con la sentenza 25 ottobre 2010, n. 21838 – in particolare – ha affermato che la risoluzione del contratto di diritto per inosservanza del termine essenziale (articolo 1457 Cc) non preclude alla parte adempiente, nel caso in cui sia stata contrattualmente prevista una caparra confirmatoria, l'esercizio della facoltà di recesso ai sensi dell'articolo 1385 Cc per ottenere, invece del risarcimento del danno, la ritenzione della caparra o la restituzione del suo doppio, poiché dette domande hanno una minore ampiezza rispetto a quella di risoluzione e possono essere proposte anche nel caso in cui si sia verificata di diritto la risoluzione stessa; in tal caso, però, si può considerare legittimo il recesso solo quando l'inadempimento dell'altra parte non sia di scarsa importanza avuto riguardo all'interesse del recedente.

In termini ancora più radicali, Cassazione, ordinanza 24 novembre 2011, n. 24841 ha statuito – ancora - che nell'ipotesi di versamento di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, la parte non inadempiente che abbia agito per l'esecuzione o la risoluzione del contratto e per la condanna al risarcimento del danno ai sensi dell'articolo 1453 Cc, può, in sostituzione di queste pretese, chiedere nel corso del giudizio il recesso dal contratto a norma dell'articolo 1385, comma 2, Cc, non costituendo tale richiesta una domanda nuova, bensì configurando l'esercizio di una perdurante facoltà e un'istanza ridotta rispetto all'azione di risoluzione.
Aveva precisato – tale ultima pronunzia – infatti, che “per effetto della modifica della domanda non vi è stata alcuna alterazione sostanziale dei fatti costitutivi del preteso inadempimento della promittente acquirente, rappresentati prima e dopo dall'ingiustificato rifiuto di stipulare il contratto definitivo” richiamando l'insegnamento contenuto in Cassazione, sentenze 11 gennaio 1999, n. 186 e 23 settembre 1994, n. 7644, ma totalmente prescindendo dal successivo intervento delle Sezioni Unite, sopra ricordato.

La pronuncia in commento - Nel disattendere tali affermazioni e nel ribadire, come anticipato, l'insegnamento contenuto in Cassazione, sentenza n. 553 del 2009, la pronunzia in rassegna evidenzia – altresì che l'interpretazione dell'articolo 1385 Cc fatta propria da quest'ultima pronunzia è in armonia con il nuovo dettato dell'art. 111 Cost., di evitare rilevanti diseconomie processuali, non dimenticando come le domande di risoluzione e di risarcimento comportino spetto, sul piano probatorio una intensa e defatigante attività per le parti e per il giudice e che la modifica delle domande potrebbe risultare funzionale a riattivare il meccanismo legale di cui all'articolo 1385 comma 2 Cc, ormai definitivamente caducato per via delle preclusioni processuali definitivamente prodottesi a seguito della proposizione della domanda di risoluzione sic et simpliciter.

Corte di cassazione – Sezione III civile – Sentenza 30 novembre 2015 n. 24337

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