Professione e Mercato

Commercialisti, la riforma appesantisce i giudizi disciplinari

Pronto ordini n. 56 del 2023: la sentenza di patteggiamento non è prova dei fatti

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di Giovanni Negri

Già questa disposizione della riforma del processo penale aveva condotto a un ammorbidimento della legge Severino mitigando l’incandidabilità. Ora la riscrittura della disciplina del patteggiamento si intreccia con i procedimenti disciplinari di competenza ordinistica, visto che , in base al nuovo articolo 445 comma 1-bis del Codice di procedura, la sentenza di patteggiamento «anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia e non può essere utilizzata a fini di prova nei giudizi civili, disciplinari, tributari o amministrativi, compreso il giudizio per l’accertamento della responsabilità contabile».

Ne prendono allora atto i dottori commercialisti, con un Pronto ordini , il n. 56 del 2023, in risposta a un quesito formulato dall’Ordine di Lecce. Al Consiglio nazionale appare evidente la volontà di ridurre, fino a neutralizzarli, gli effetti extra-penali della sentenza di patteggiamento: infatti prima l’inefficacia si estendeva solo ai giudizi civili e amministrativi mentre ora si estende anche a quelli disciplinari e comprende espressamente anche quelli tributari e contabili. Ne deriva quindi che la sentenza di patteggiamento può essere equiparata a una pronuncia di condanna esclusivamente nel contesto penalistico sostanziale e processuale, mentre al di fuori di esso l’equiparazione non ha ragione di esistere.

«Pertanto - si legge nel documento -, l’organo disciplinare non può più, in caso di sentenza penale irrevocabile di patteggiamento, ritenere accertato/i il/i fatto/i costituenti l’illecito penale per il quale è stata comminata la condanna, neppure quando tale/i fatto/i sono i medesimi contestati in sede di apertura del procedimento disciplinare, bensì dovrà procedere ad un autonomo accertamento dei fatti contestati».

L’organo di disciplina potrà peraltro, sottolinea il documento, ricavare elementi istruttori dagli atti del processo celebrato dal giudice penale, analogamente a quanto avviene nei casi di procedimenti penali caratterizzati dalla pronuncia di sentenze di condanna non irrevocabili successivamente annullate solo per l’intervento della prescrizione.

Quanto alla possibile applicazione retroattiva, come misura di miglior favore la conclusione è di chiusura: «si ritiene inoltre plausibile l’interpretazione secondo la quale l’articolo 25, cit., non è, pur essendo contenuto nel codice di procedura penale, norma penale di miglior favore bensì norma attinente gli effetti non penali di sentenze penali. Ne deriva che esso non ha - secondo questa interpretazione - efficacia retroattiva, né, di conseguenza, si applica retroattivamente».

Pertanto i provvedimenti disciplinari, che il documento raccomanda di concludere nei termini previsti di 18 mesi, adottati prima del 30 dicembre 2022, data di entrata in vigore della riforma del processo penale, non potranno essere revocati né annullati in autotutela.

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