Penale

La riforma penale apre a tutela delle vittime e riparazione del danno

La ministra Cartabia vuole rendere la giustizia riparativa accessibile in ogni stato e grado di procedimento

di Valentina Maglione e Bianca Lucia Mazzei

La giustizia riparativa entrerà nella riforma del processo penale. L’obiettivo è accrescere la tutela delle vittime di reato attraverso percorsi che coinvolgano anche gli autori dei crimini e riescano a “ricucire” le lacerazioni dei legami sociali e a farsi carico delle conseguenze negative delle violazioni.

Si tratta di un tema cui la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, tiene molto, e che ha espressamente indicato durante il discorso programmatico alle commissioni Giustizia di Camera e Senato.

La giustizia riparativa farà quindi parte degli emendamenti al disegno di legge delega di riforma del processo penale cui sta lavorando la commissione nominata dalla ministra (all’interno della quale è stata creata una sottocommissione ad hoc) e che dovrebbero vedere la luce a fine aprile.

Di che si tratta
Nata nell’ambito minorile, la giustizia riparativa è prevista dalla normativa comunitaria e in particolar modo dalla direttiva 2012/29 sulla tutela delle vittime, cui ora la ministra intende dare piena attuazione. La direttiva la definisce come un procedimento che permette alla vittima e all’autore del reato di partecipare attivamente e liberamente alla risoluzione delle conseguenze determinate dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale.

Un percorso finalizzato ad alleviare la sofferenza delle vittime, a recuperare gli autori dei reati e a evitando le recidive, di cui la mediazione penale costituisce lo strumento più conosciuto, ma non l’unico. Nel sistema penale italiano non c’è una norma a carattere generale che la disciplini, ma la giustizia riparativa non è comunque una novità assoluta. È infatti applicata nella giustizia minorile e, per gli adulti, può essere usata nella “messa alla prova”: un istituto introdotto nel 2014 che consente agli indagati e agli imputati per i reati meno gravi (puniti con pena pecuniaria o reclusione fino a quattro anni) che ne fanno richiesta di evitare il processo e arrivare alla cancellazione del reato, se accettano di seguire un “programma di trattamento”. È in questo programma che, oltre alle attività obbligatorie come lavoro di pubblica utilità, risarcimento del danno ed eliminazione delle conseguenze dannose del reato, può entrare, se possibile, la mediazione con la vittima. Ma quest’ultima chance - rilevano gli operatori - è stata finora molto poco utilizzata.

Disciplina a largo raggio
Ora l’intento del ministero è quello di rendere i programmi di giustizia riparativa accessibili in ogni stato e grado del procedimento penale, sin dalla fase di cognizione, come ha affermato Cartabia in Parlamento.

I contenuti della riforma sono in via di definizione e prendono le mosse dagli studi e dalle pubblicazioni dei componenti della commissione. Sul tavolo ci sono l’accessibilità alla giustizia riparativa senza limiti legati alla gravità del reato, sia prima del processo che nella fase di esecuzione della pena, con percorsi volontari, consensuali e gratuiti. Si pensa anche a rinforzare l’utilizzo di questi strumenti nell’ambito della messa alla prova.

Perché l’accessibilità ai programmi sia reale andranno definiti gli standard formativi dei mediatori e un sistema di accreditamento dei centri di giustizia riparativa esistenti e di quelli futuri. Tra le ipotesi di lavoro anche il fatto di non legare all’esito del programma, effetti giuridici negativi per chi vi partecipa. Da indicare anche la procedura: a decidere sull’ammissione ai percorsi sarà probabilmente l’autorità giudiziaria, come avviene per la messa alla prova.

Le esperienze sul territorio
L’utilizzo nel campo minorile e nei programmi di messa alla prova ha aperto la strada alla nascita di centri di giustizia riparativa e ad alcune sperimentazioni.

Come il progetto Contatto, che dal 2017 allo scorso dicembre ha coinvolto il territorio di Como e i dintorni per lavorare alla costruzione della prima “comunità riparativa” d’Italia. Promosso da Comune, diverse associazioni e due Università, e finanziato dalla Fondazione Cariplo, il progetto ha operato sia in ambito sociale, per la prevenzione e la gestione dei conflitti nei contesti a rischio, che giuridico, grazie alla collaborazione del Tribunale di Como. «Abbiamo elaborato percorsi individuali per il recupero dell’autore del reato e la riparazione del danno», spiega Maria Luisa Lo Gatto, che al Tribunale di Como è il magistrato di collegamento con il territorio e con le istituzioni: «Sono stati soprattutto utilizzati gli istituti della messa alla prova e del lavoro di pubblica utilità, declinati dal giudice in chiave riparativa, ad esempio prevedendo attività a favore della vittima o della comunità colpita dal reato».

A Milano, il centro di giustizia riparativa fa capo al Comune e segue diversi progetti destinati sia ai minori che agli adulti come la mediazione fra detenuto e vittima o, nell’ambito della messa alla prova, il progetto writers che riguarda il reato di imbrattamento e ha coinvolto 120 writer. «La mediazione penale è molto utile soprattutto quando le persone sono destinate a reincontrarsi, come nei luoghi di lavoro, nei contesti familiarie di vicinato», spiega Federica Brunetti, socio fondatore della coopertaiva Dike che gestisce l’attività di mediazione per il centro di Milano. «Il processo accerta il reato ma non chiude il conflitto che rimane aperto e provoca nella vittima incertezza e sfiducia».

La messa alla prova

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