Civile

La società incorporata può essere dichiarata fallita

La fusione non è un fenomeno evolutivo-modificativo ma estintivo

di Michele D’Apolito

La società fusa a seguito di incorporazione può essere dichiarata fallita entro un anno dalla cancellazione.

Lo ha deciso la Corte d’appello di Catania (sentenza del 20 aprile 2022), che si è pronunciata sul ricorso di una società incorporante contro la dichiarazione di fallimento dell’incorporata che era stata richiesta dalla Procura del capoluogo etneo entro l’anno dalla cancellazione.

La questione riguarda l’applicabilità dell’articolo 10 della legge fallimentare: se, cioé, è possibile dichiarare il fallimento di una società cancellata dal Registro imprese in seguito ad incorporazione entro un anno da tale evento e se il venir meno del soggetto fuso configuri un’effettiva estinzione o costituisca, invece un fenomeno evolutivo e di riorganizzazione aziendale, che determina la modificazione del soggetto giuridico, ma non richiede la tutela prevista ad hoc dalla legge fallimentare.


Secondo la ricorrente l’incorporazione della società dichiarata fallit ha natura “evolutivo-modificativa”: non sarebbe quindi applicaile l’articolo 10 della legge fallimentare, il cui scopo è quello di tutelare i creditori del debitore insolvente che proceda alla cancellazione, prevedendone la fallibilità entro l’anno da tale evento.
Questo perché, sempre secondo quanto sostenuto nelle tesi difensive della ricorrente, la ratio dell’articolo 10 non è difendere i creditori interessati da una fusione poiché nella fusione non vi è sottrazione di attivo e i creditori hanno comunque lo strumento dell’opposizione preventiva (articolo 2504 del Codice civile).
I magistrati catanesi non hanno però accolto queste argomentazioni, basandosi sul presupposto che la fusione costituisce una vicenda estintiva della società fusa, con una successione universale dei rapporti attivi e passivi dal soggetto cancellato in favore dell’incorporante.
Secodno la Corte d’appello, la continuazione sull’incorporante dei rapporti giuridici esistenti in capo alla società fusa non è un elemento tale da escludere l’estinzione di quest’ultima.
A sostegno di tale argomentazione, i giudici hanno richiamato la sentenza 21970/2021 delle sezioni unite della Suprema Corte: un caso che non trattava nello specifico del fallimento dell’incorporata, ma che avallava l’orientamento giurisprudenziale più recente, secondo il quale non si sottrae al fallimento una società cancellata dal Registro imprese a seguito di un riassetto societario, quale è la fusione.
Non ha convinto i magistrati etnei neppure la sottolineatura della ricorrente circa la solvibilità dell’incorporante, argomentazione non ritenuta pertinente: una circostanza che avrebbe rilievo se l’istanza di fallimento avesse riguardato l’incorporante, non l’incorporata.
In questo caso, la legge pone una netta distinzione tra la prima e la seconda, e neppure il fatto che intervenga, con l’operazione in esame, una confusione di patrimoni – con creditori dell’incorporante che concorrono su un unico patrimonio con quelli della fusa – è elemento tale da escludere la dichiarazione di fallimento entro l’anno dall’estinzione.
Il fallimento del soggetto fuso è infatti conseguenza della sua insolvenza “stand alone” all’atto della cancellazione, e la responsabilità patrimoniale della società fusa non può essere elusa dall’assorbimento in capo all’incorporante di dette posizioni, né tantomeno dal rimedio dell’opposizione, che costituisce una garanzia aggiuntiva per i creditori.

La fusione non è quindi una vicenda evolutivo-modificativa, ma estintiva, cui applicare in pieno l’articolo 10 della legge fallimentare quando si rilevi l’insolvenza entro l’anno dalla cancellazione.

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