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La Stabile Organizzazione nell’era Digital economy: frontiere impositive e implicazioni penali

Il sistema fiscale è chiamato a rinnovare i propri principi consolidati per adeguarsi alle realtà economiche emergenti, la cui operatività prescinde dai confini fisici nazionali. Tale deterritorializzazione pone anche questioni riguardo alla responsabilità penale delle entità per illeciti connessi alla loro presenza digitale

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di Andrea Puccio, Elena Prasedi*

L’avvento dell’era digitale ha innescato una significativa e profonda trasformazione del concetto di stabile organizzazione, generando una sfida inedita per le autorità giudiziarie e per i professionisti del diritto. Il tradizionale criterio di collegamento territoriale, basato sulla presenza fisica delle imprese estere nel territorio nazionale e pilastro dell’assoggettamento fiscale delle stesse in Italia, si è rivelato del tutto inadeguato di fronte all’emergere della c.d. “stabile organizzazione virtuale”. Le imprese multinazionali operano oggi in un contesto transnazionale, che trascende i confini geografici convenzionali, imponendo una necessaria ridefinizione della nozione di presenza “fiscale” sul territorio.

Questa evoluzione ha sollevato interrogativi sulla capacità dell’attuale quadro normativo di regolare un’economia sempre piùdematerializzata e transfrontaliera, dove una presenza economicasignificativa e continuativa’ può manifestarsi anche in assenza di strutture fisiche identificabili.

Il sistema fiscale è quindi chiamato a rinnovare i propri principi consolidati per adeguarsi alle realtà economiche emergenti, la cui operatività prescinde dai confini fisici nazionali. Tale deterritorializzazione pone questioni complesse riguardo alla responsabilità penale delle entità che possono essere chiamate a rispondere per illeciti connessi alla loro presenza digitale.

L’evoluzione normativa

Di fronte alla progressiva evoluzione dell’economia digitale, la normativa fiscale nazionale e internazionale ha intrapreso un significativo e progressivo percorso di adeguamento. Le prime risposte sono state orientate a reinterpretare i concetti esistenti, con l’obiettivo di ampliare la nozione di stabile organizzazione “tradizionale”, così da includervi anche le nuove forme di presenza “digitale”.

Questa attività di re-interpretazione si è estrinsecata, anzitutto, nell’introduzione di una specifica previsione nella Legge di Bilancio del 2018, mediante la quale il legislatore nazionale è intervenuto in senso emendativo sulla c.d. positive list, ossia l’identificazione delle fattispecie che integrano la sussistenza di una stabile organizzazione in Italia, introducendo, al comma 2 dell’art. 162 TUIR, l’inedita lettera f-bis) che fa richiamo a “una significativa e continuativa presenza economica nel Territorio dello Stato costruita in modo tale da non far risultare una sua consistenza fisica nel territorio dello stesso”.

Parallelamente, il legislatore è intervenuto anche sulla c.d. negative list, di cui al comma 4 dell’art. 162 TUIR, ossia l’identificazione delle ipotesi che restano escluse dal concetto di stabile organizzazione, introducendo il novellato comma 4 bis in forza del quale l’esclusione opera alla condizione che le specifiche attività indicate al comma precedente abbiano carattere preparatorio o ausiliario”.

Questa innovazione normativa rappresenta una risposta puntuale alle sfide poste dalla digitalizzazione dei modelli di business, riconoscendo che l’economia contemporanea può generare valore significativo nel territorio di uno Stato, anche in assenza di strutture fisiche tradizionali.

A livello internazionale, l’intervento italiano si è inserito nel solco tracciato dal c.d. Progetto BEPS (Base Erosion and Profit Shifting) dell’OCSE, che ha evidenziato l’esigenza di adattare i principi fiscali all’economia digitale, soprattutto alla luce del fenomeno, sempre più frequente, denominato base erosion and profit shifting, che richiama la diffusione di strategie fiscali internazionali funzionali a erodere la base imponibile o comunque ad allocare i profitti in luogo diverso da quello di relativa effettiva produzione, con l’obiettivo di sottrarsi all’imposizione fiscale. In risposta a ciò, l’OCSE ha elaborato un vero e proprio Action Plan, che si compone di 15 azioni di contrasto al predetto fenomeno. Tra le varie misure adottate, rileva l’Action n. 1, “Addressing the Tax Challenges of the Digital Economy”, che propone una riperimetrazione del concetto di stabile organizzazione, con l’introduzione di un nuovo criterio di collegamento dell’impresa con il territorio nazionale basato sulla significant economic presence.

In linea con l’attività di aggiornamento promossa dall’OCSE, anche l’Unione Europea si è attivata in tal senso, formulando due proposte di direttive comunitarie: la Direttiva CTTB (Common Corporate Tax Base), finalizzata a integrare il concetto di stabile organizzazione virtuale, includendovi anche l’ipotesi di presenza digitale significativa e la Direttiva CCCTB (Common Corporate Consolidated Tax Base), che si propone di istituire un’imposta con aliquota del 3% sui ricavi di specifiche tipologie di servizi digitali.

La “significativa e continuativa presenza economica”: parametri e valutazione

Il concetto di “significativa e continuativa presenza economica”, evocata nella versione novellata dell’art. 162 TUIR, rappresenta, allo stato, il fulcro dell’evoluzione normativa in materia di tassazione dell’economia digitale. La nozione dà luogo, infatti, a un cambio di paradigma fondamentale: la rilevanza fiscale, prima ancorata a elementi di fisicità tangibile, viene ora riconosciuta anche a fronte di una presenza economica puramente virtuale.

La significatività” della presenza economica deve essere valutata attraverso parametri quantitativi e qualitativi che attestino l’effettiva penetrazione di una specifica entità nel mercato nazionale. Tra questi, assumono particolare importanza: il volume dei ricavi generati nel territorio dello Stato, il numero di utenti o clienti italiani che interagiscono con la piattaforma digitale, la frequenza e la rilevanza economica delle transazioni concluse con soggetti residenti e la continuità temporale di tali interazioni.

La “continuatività”, invece, si riferisce alla stabilità della presenza economica, che deve caratterizzarsi per una persistenza temporale e non configurarsi come meramente occasionale. Questo elemento evidenzia la necessità che l’attività economica digitale si inserisca nel tessuto nazionale con un radicamento che, pur non manifestandosi in una presenza fisica, risulti comunque significativo e duraturo.

Preme precisare che il legislatore italiano, pur avendo introdotto modifiche significative al TUIR, non ha definito in modo sufficientemente preciso il concetto di “presenza economica significativa”, limitandosi a darne un’enunciazione generale che, se da un lato amplia il perimetro applicativo della norma, dall’altro genera inevitabilmente una serie di incertezze interpretative. Di conseguenza, gli operatori economici e i professionisti del settore dovranno interpretare e applicare l’inedita normativa adottando le dovute cautele e sfruttando i parametri valutativi allo stato disponibili.

L’OCSE, ad esempio, ha individuato una serie di fattori atti a comprovare la sussistenza di un’interazione mirata e duratura della singola impresa con l’economia di un Paese, e in particolare:

(i) il fatturato: l’OCSE invita a prendere in considerazione i ricavi generati dalle transazioni concluse con i clienti residenti, mediante l’utilizzo della piattaforma digitale di un’impresa, alla condizione che gli stessi superino il limite minimo fissato dall’autorità, da stabilirsi entro soglie sufficientemente elevate per ridurre gli oneri di conformità delle amministrazioni fiscali;

(ii) i fattori digitali: fattori che permettono alle imprese di affermarsi in maniera stabile e duratura nel mondo del business digitale. Tra essi, l’OCSE suggerisce di prendere in considerazione il nome di dominio, il sito web e le opzioni di pagamento definite da una specifica impresa multinazionale per un determinato Paese: ove siano rinvenibili soluzioni predisposte ad hoc per i consumatori di una determinata nazione, ciò potrà costituire un elemento da valorizzare ai fini dell’accertamento dell’integrazione di tale impresa nel tessuto del business domestico;

(iii) i connotati dell’utenza: l’OCSE attribuisce rilievo al numero degli utenti attivi mensilmente, alla regolare conclusione di contratti con l’impresa di riferimento, e al volume dei dati raccolti attraverso il sito internet in relazione ai predetti utenti durante tali attività commerciali.

L’OCSE ha affermato che è necessaria la combinazione di tali fattori per dimostrare la partecipazione di un’impresa estera alla vita economica di un determinato Paese, con conseguente legittimazione di quest’ultimo a sottoporre a imposizione i redditi prodotti sul proprio territorio.

Tra le prime applicazioni concrete dei principi sin qui delineati, emergono già diverse vicende significative nel panorama giudiziale nazionale e internazionale, tra cui, principalmente, quelle che hanno coinvolto importanti realtà come Netflix, Google e Airbnb.

La stabile organizzazione digitale e le conseguenze penali

L’istituto della stabile organizzazione digitale comporta, per le imprese non residenti, l’assoggettamento al regime fiscale italiano, al pari delle entità con sede nel territorio nazionale. Questa equiparazione non si limita all’adempimento degli obblighi contabili e dichiarativi, ma presenta rilevanti implicazioni sul piano delle conseguenze penal-tributarie.

L’accertamento dell’esistenza di una stabile organizzazione in Italia determina, per le società estere, l’insorgere dei medesimi obblighi fiscali gravanti sulle imprese residenti, con conseguente assoggettamento alla pretesa impositiva italiana relativamente ai redditi prodotti nel territorio dello Stato. Ne deriva l’obbligo di adempiere a una serie di prescrizioni normative, quali: la tenuta delle scritture contabili, la presentazione della dichiarazione dei redditi, l’emissione delle fatture per le operazioni attive, la registrazione delle fatture passive e il versamento delle imposte dovute.

La violazione di tali obblighi può configurare diverse fattispecie di reato previste dal D.lgs. 74/2000, esponendo l’impresa e i suoi organi amministrativi a significative conseguenze penali.

In particolare, come noto, la mancata dichiarazione dell’esistenza di una stabile organizzazione in Italia può integrare il reato di omessa dichiarazione (art. 5 D.lgs. 74/2000), nel caso in cui la società estera, pur avendo una presenza stabile nel territorio italiano, ometta di presentare la dichiarazione dei redditi. Diversamente, si configura un’ipotesi di dichiarazione infedele (art. 4 D.lgs. 74/2000) laddove una società fiscalmente residente in Italia ometta di includere nella propria base imponibile i proventi derivanti da una stabile organizzazione situata all’estero. Da ultimo, nei casi di particolare gravità, caratterizzati da comportamenti fraudolenti, quali l’utilizzo di documenti falsi o altri artifizi contabili, può venire in rilievo il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, con conseguente inasprimento del trattamento sanzionatorio (art. 3 D.lgs. 74/2000).

Le strategie di mitigazione dei rischi penali

La crescente complessità del panorama fiscale internazionale, accentuata dalla digitalizzazione dell’economia, rende essenziale per le imprese implementare efficaci strategie per mitigare e, ove possibile, prevenire i rischi penali connessi alla stabile organizzazione digitale.

In primo luogo, si impone una rigorosa attività di mappatura delle attività economiche svolte nel territorio nazionale, incluse quelle esclusivamente digitali, al fine di valutare – con il supporto di consulenti specializzati – il potenziale configurarsi di una presenza economica significativa e continuativa nel territorio dello Stato.

Parimenti rilevante risulta poi l’adozione di modelli organizzativi e di gestione conformi al D.lgs. 231/2001, in grado di individuare e prevenire condotte omissive o fraudolente che potrebbero determinare la responsabilità amministrativa dell’ente per la commissione di illeciti tributari. A valle dell’adozione dei modelli organizzativi e di gestione, peraltro, è onere imprescindibile dell’ente curarne la costante tenuta e procedere all’aggiornamento periodico, al fine di garantire che i presidi di prevenzione e controllo recepiscano tanto le evoluzioni normative, quanto i mutamenti della struttura organizzativa interna, mantenendo così inalterata la propria efficacia nel tempo.

Solo attraverso un approccio integrato, sistematico e proattivo alla compliance fiscale e penale, le imprese estere operanti in Italia – anche in modalità interamente digitale – potranno minimizzare efficacemente l’esposizione a contestazioni tributarie e alle conseguenti implicazioni penali.

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*Andrea Puccio (Founding Partner) ed Elena Prasedi (Trainee) dello Studio Puccio Penalisti Associati