Penale

La violazione dell’accordo di solidarietà non dimostra che sia stato estorto ai dipendenti

La successiva violazione delle riduzioni orarie non applicate di fatto non è prova dell’iniziale programmazione di estorcere l’accordo per giovarsi illecitamente del sostegno economico statale

immagine non disponibile

di Paola Rossi

L’intento estorsivo del datore di lavoro a danno dei propri dipendenti nella stipula del contratto di solidarietà difensiva non può essere dedotto de plano dalla successiva circostanza in cui, di fatto, i lavoratori continuano a svolgere la prestazione nella medesima forma ordinaria, cioè senza riduzioni orarie. Infatti, affinché il contratto tra datore e rappresentanze sindacali si possa considerare frutto delle pressioni e delle minacce agite dal datore di lavoro va dimostrato che, tale programmazione di fruire indebitamente dell’ammortizzatore sociale erogato dall’Inps, fosse preesistente al momento della stipula del contratto di solidarietà. Altrimenti, a seguito delle successive situazioni lavorative verificatesi, possono scattare profili di illecito civile con conseguenti danni risarcibili per la violazione, appunto, delle regole sottoscritte e sottoposte al Ministero e al controllo dell’ente di previdenza.

La Corte di cassazione penale - con la sentenza n. 23893/2024 - ha accolto il ricorso di un datore di lavoro che era stato condannato per aver estorto al personale ai propri dipendenti l’accettazione - in sede di trattativa sindacale - di un accordo di solidarietà. Il ricorso lamentava, invece, una carente valutazione delle prove a carico e a discarico per la carente presa in considerazione delle testimonianze favorevoli all’imputato, in relazione al contestato reato di estorsione. Testimonianze di segno totalmente contrario a quelle che avevano, invece, denunciato di aver subito pressioni e minacce di licenziamento se non si fosse addivenuti alla conclusione dell’accordo per sostenere l’impresa in crisi.

Nel caso concreto, inizialmente, si era verificata l’apertura di una procedura di mobilità finalizzata alla riduzione dei costi del personale con legittima predisposizione di licenziamenti futuri. Allo stato di mobilità risulta che le stesse rappresentanze sindacali dei lavoratori avessero proposto al datore di deviare verso la conclusione di un accordo di solidarietà, che poi in effetti veniva deciso e firmato dalle parti.
Ma alcuni lavoratori avevano poi sostenuto che l’accordo fosse frutto delle minacce del datore di procedere a immediati licenziamenti. Ciò, che per legge, non sarebbe stato possibile né in pendenza dello stato di mobilità dei lavoratori né nella vigenza dell’accordo difensivo contro la crisi in cui versava l’impresa, poi di fatto fallita.

Però la successiva circostanza che i lavoratori posti in Cassa integrazione guadagni straordinaria avessero di fatto lavorato senza applicazione delle riduzioni orarie stabilite dall’accordo faceva emergere un indiscutibile comportamento contrario alla legge. Ciò non è però prova che l’accordo fossa stato estorto ai lavoratori o alle loro rappresentanze sindacali con l’esercizio di indebite pressioni e ingiuste minacce di perdere il lavoro.

Il dolo - come detto sopra - non può essere visto nel passaggio da mobilità a Cigs, in sé completamente lecito, a meno di provare il ricatto, che non può consumarsi però con la determinazione eventualmente successiva di violare le regole del contratto.

 

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©