Lavoro agile all’estero, gli adempimenti e le criticità
Importante strumento di competitività organizzativa che presenta, tuttavia, molteplici criticità a livello legale e organizzativo se non accompagnato dalle dovute accortezze
Il lavoro agile in Italia, per quanto giovane e poco diffuso ai suoi albori, compie sette anni, ben più che in altri stati comunitari, grazie alla Legge 22 maggio 2017, n. 81 che lo ha introdotto e regolamentato. Solo a causa della pandemia le aziende italiane hanno avuto modo di ricorrere diffusamente, seppur forzatamente, al lavoro agile ed oggi, paradossalmente, tale modalità lavorativa è diventata strumento di competitività organizzativa capace di attrarre nuovi talenti, tanto da doverne valutare la sua concessione anche oltre i confini nazionali.
Ma il lavoro agile all’estero porta con sé non poche criticità a livello legale e organizzativo, dato che oltre i confini nazionali non è oggetto di specifica disciplina né a livello nazionale, né tantomeno a livello internazionale.
La materia è ampia e le casistiche innumerevoli, non affrontabili in questo contesto; pertanto, ci limiteremo a fornire alcuni spunti di riflessione in relazione agli adempimenti ed alle criticità per il caso di:
“ lavoro agile svolto per brevi periodi di tempo all’estero da lavoratore residente in Italia, assunto in Italia da azienda italiana, con contratto di lavoro subordinato di diritto italiano”
Atteso che si dia per scontata l’avvenuta sottoscrizione tra le parti di un accordo di lavoro agile, redatto in forma scritta e conforme alla normativa di legge italiana, la prima criticità di cui tener conto è di natura fiscale., inerente ai redditi di lavoro dipendente prodotti dal lavoratore durante lo svolgimento del lavoro agile all’estero: le imposte sui redditi da lavoro dipendente prodotti dal lavoratore durante lo svolgimento del lavoro agile all’estero sono dovute in Italia o nel Paese estero?
In linea di massima, per i Paesi che aderiscono al modello OCSE si può affermare che i redditi di lavoro dipendente vanno assoggettati a tassazione nello Stato di residenza del contribuente, a patto che sussistano congiuntamente le 3 seguenti condizioni: (1) il beneficiario dei redditi soggiorna nello Stato estero per periodi inferiori ai 184 giorni nell’anno fiscale; (2) le remunerazioni sono pagate da o per conto di un datore di lavoro che non è residente nello Stato estero; (3) l’onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nello Stato estero.
In caso contrario, o in caso di assenza di convenzione bilaterale in materia fiscale tra l’Italia e lo Stato estero dove è resa la prestazione, è probabile che sul reddito di lavoro prodotto dal lavoratore possa essere dovuta una tassazione parallela sia nel Paese estero, sia in Italia, con l’aggiuntiva complicazione che, in alcuni Paesi, il datore di lavoro debba anche agire da sostituto d’imposta.
Inoltre, il lavoro agile potrebbe configurare, in alcuni casi, una stabile organizzazione della società italiana all’estero. Ad esempio, in Austria l’esistenza di una postazione fissa (foss’anche la camera d’albergo dalla quale il lavoratore svolge il lavoro) e la messa a disposizione di un PC e telefono aziendali possono rappresentare l’esistenza di una stabile organizzazione in tale Paese. È necessario, pertanto, approfondire la verifica delle leggi locali per evitare di incorrere in obblighi fiscali e amministrativi non desiderati.
Ma la complessità di gestione si estende anche agli aspetti legali. Secondo il Regolamento (CE) N. 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali all’interno dell’Unione Europea (conosciuto anche come “ Regolamento Roma I ”), il contratto di lavoro è disciplinato dalla legge scelta dalle parti, ma tale scelta “non può privare il lavoratore della protezione assicuratagli dalle disposizioni alle quali non è permesso derogare convenzionalmente in virtù della legge che, in mancanza di scelta, sarebbe stata applicabile” (Articolo 8). Inoltre, ai sensi del Regolamento Roma I le norme di applicazione necessaria - ovvero “le disposizioni il cui rispetto è ritenuto cruciale da un Paese per la salvaguardia dei suoi interessi pubblici, quali la sua organizzazione politica, sociale o economica” (Articolo 9) – risultano applicabili in tutte le situazioni che rientrino nel loro campo d’applicazione, qualunque sia la legge che disciplina il contratto.
Un esempio può essere rappresentato dalla disciplina dell’orario di lavoro settimanale: la media europea (per l’anno 2023) è di 37,8 ore e in Francia, per riferirci ad un caso pratico, l’orario di lavoro standard è di 35 ore settimanali. Ciò vuol dire che le ore successive sono considerate straordinarie. Di conseguenza, potrà essere necessario valutare se su tali ore sia dovuta la maggiorazione per il lavoro straordinario, anche qualora in Italia non lo sia.
Per effettuare tale valutazione è utile ricordare che, ai sensi del Regolamento Roma I, una variazione temporanea del luogo di svolgimento del lavoro non comporta l’applicazione, al rapporto di lavoro, delle leggi dello Stato in cui il lavoratore si trova, ma che continua ad applicarsi la legge scelta in fase di stipula del contratto. Tuttavia, questo principio va ponderato con la previsione di diretta applicazione delle norme di applicazione necessaria, esaminate nel paragrafo precedente.
Altra questione rilevante riguarda la sicurezza sociale. In base ai principi generali, la competenza è del Paese in cui viene svolta l’attività lavorativa. Nei Paesi UE (così come in Svizzera, Islanda, Norvegia e Liechtenstein) tale regola viene mitigata per i distacchi temporanei o in caso di lavoro in più Stati, permettendo ai lavoratori e ai datori di lavoro di mantenere la contribuzione nel Paese di origine, a condizione che sussistano i requisiti stabiliti nei Regolamenti (CE) n. 883/2004 e n. 987/2009 e che il lavoratore sia provvisto di certificato A1.
Se si esce dai confini UE, però, la situazione cambia: i Regolamenti europei non trovano applicazione e si rende necessario verificare se l’Italia abbia stipulato accordi bilaterali in materia di sicurezza sociale con il Paese estero. Nei Paesi con i quali l’Italia non abbia stipulato tali accordi è probabile che si debba procedere con il versamento parallelo dei contributi previdenziali sia nel Paese estero sia in Italia. Per i Paesi con i quali, invece, l’Italia ha un accordo in essere sarà necessario verificare le previsioni contenute nello stesso e capire se sia possibile evitare tale doppia imposizione contributiva. In entrambi i casi sarà, inoltre, necessario verificare se le aliquote contributive INPS debbano subire una variazione, durante la permanenza del lavoratore all’estero, e se si debba, quindi, procedere con l’apertura di una posizione contributiva apposita per la corretta gestione della denuncia Uniemens.
Altro tassello importante nel puzzle della mobilità internazionale del lavoratore agile è costituito dalla sicurezza sul lavoro. Il datore di lavoro ha l’obbligo di garantire la salute e la sicurezza del lavoratore nei luoghi di lavoro ed è sempre responsabile del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnatigli per lo svolgimento dell’attività lavorativa. Tale obbligo non è solo teorico o formale, ma richiede degli adempimenti pratici quali, ad esempio, la valutazione dei rischi generici e specifici connessi all’attività lavorativa, la consegna di un’informativa scritta che li evidenzi, la formazione per il loro contenimento, così come la sorveglianza sanitaria. In tal senso, i rischi specifici possono essere collegati non solo alle modalità di svolgimento del lavoro, ma anche al luogo nel quale esso viene svolto. Rischi specifici possono derivare, ad esempio, dalla situazione sociopolitica in cui versa il Paese estero, così come dalle sue caratteristiche climatiche, culturali, sanitarie e così via. Bisogna valutare, inoltre, se sia necessario stipulare una polizza assicurativa che integri le coperture garantite dall’INAIL per la durata della permanenza del lavoratore all’estero.
E ancora, la normativa italiana in tema di lavoro agile prevede l’obbligo di garantire che l’esecuzione della prestazione lavorativa avvenga in condizioni di sicurezza e riservatezza, anche con specifico riferimento al trattamento dei dati e delle informazioni aziendali nonché alle esigenze di connessione con i sistemi del datore di lavoro. Si dovrà, quindi, verificare se nel Paese e nel luogo specifico in cui il lavoratore intende svolgere il lavoro agile la sicurezza e riservatezza dei dati possano essere garantite.
Infine, lo svolgimento dell’attività lavorativa, seppur in modalità agile, in un Paese estero può richiedere il visto di lavoro e ciò non solo se il Paese è extracomunitario, ma anche se il lavoro agile è svolto in un Paese UE da lavoratore con cittadinanza extracomunitaria: in quest’ultimo caso è necessario verificare se il permesso di soggiorno italiano sia valido anche nel Paese europeo di destinazione.
In conclusione, la necessità di consentire il lavoro agile anche all’estero è innegabile, ma per garantire che venga svolto in conformità con la normativa di legge italiana ed estera è necessario approfondire i vari aspetti operativi e legali che l’accompagnano e predisporre un dettagliato accordo individuale o una policy aziendale per disciplinare in maniera puntuale come dovrà essere svolta l’attività lavorativa all’estero. L’azienda dovrà poi verificare e vigilare sul rispetto delle regole sancite nel proprio regolamento o accordo, anche attraverso il supporto di specifici gestionali software.
Pertanto, possiamo affermare che il lavoro agile all’estero è una grossa opportunità che, con le dovute accortezze preliminari e gli strumenti di controllo più appropriati, può diventare meno remota di quanto appaia.
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*A cura di Iva Ilieva, Associate Partner, Consulente del lavoro, Rödl & Partner