Lavoro dirigenziale, ferie maturate e non godute: quando il dirigente ha diritto all'indennità sostitutiva
Il fatto che il dirigente possa decidere in autonomia quando beneficiare del periodo di ferie non fa venir meno il diritto all'indennità sostitutiva, incombe sul datore di lavoro la dimostrazione di avere assicurato che l'organizzazione del lavoro e le esigenze di servizio non impedissero tale fruizione
Accade non di rado che, alla cessazione del rapporto di lavoro, il dirigente non abbia goduto di tutte le ferie maturate ed è questione più volte affrontata dalla giurisprudenza se, in tal caso, egli abbia diritto alla relativa indennità sostitutiva.
Al riguardo, occorre premettere che il diritto di fruire di ferie annuali retribuite è innanzitutto sancito dall'art. 36 della Costituzione che prevede altresì che il lavoratore non possa rinunziarvi.
Anche la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (all'art. 31) contempla il diritto alle ferie annuali retribuite.
Inoltre, la direttiva 2003/88/CE , nella quale è confluita la direttiva 93/104/CE, stabilisce all'art. 7 che gli Stati membri adottino le misure necessarie affinché ogni lavoratore fruisca di ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane e il periodo minimo di ferie annuali non possa essere sostituito da un'indennità finanziaria, tranne in caso di cessazione del rapporto di lavoro.
Nel dare attuazione alla direttiva 93/104/CE, il d.lgs. 8 aprile 2003 n. 66, all'art. 10 comma 1, prevede il diritto del lavoratore ad un periodo di ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane, di cui almeno due da godere nel corso dell'anno di maturazione e le restanti entro i diciotto mesi dal termine di tale anno. Ai sensi del comma 2 del medesimo art. 10, il periodo minimo di quattro settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro.
In via generale sussiste, pertanto, un divieto di monetizzazione delle ferie la cui ratio è di garantirne l'effettiva fruizione in quanto la loro finalità di reintegrare le energie psico-fisiche del prestatore di lavoro non potrebbe essere conseguita se fossero sostituite con l'erogazione di un importo.
Da ciò consegue che l'eccezione a tale divieto ("salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro") viene interpretata nel senso che possa valere con riferimento alle ferie maturate nel periodo in corso al momento della cessazione del rapporto di lavoro (delle quali sarebbe stato ancora possibile il godimento se non fosse intervenuta tale cessazione), ma non per quelle riferite agli anni precedenti in quanto il datore di lavoro avrebbe dovuto garantirne l'effettiva fruizione. Diversamente, la regola generale di non monetizzazione verrebbe di fatto privata di contenuto, risultando possibile il pagamento di una somma in luogo delle ferie, seppure procrastinandolo al momento della cessazione del rapporto.
Peraltro, quando la mancata fruizione delle ferie è imputabile al datore di lavoro, il prestatore di lavoro non resta privo di tutela, potendo invocare, sia nel corso di rapporto di lavoro sia successivamente, l'inadempimento del datore di lavoro (che non gli ha garantito tale fruizione in violazione di disposizioni inderogabili).
Alla luce di quanto sopra, la Corte di Cassazione è stata per anni costante nell'affermare che non vi è inadempimento del datore di lavoro nell'ipotesi in cui il dirigente, pur potendo scegliere autonomamente quando godere delle ferie, non ne abbia fruito e conseguentemente non sussiste il diritto all'indennità sostitutiva per le ferie riferite agli anni precedenti alla cessazione del rapporto di lavoro, tranne se la mancata fruizione sia dipesa da necessità aziendali eccezionali e obiettive (Cass. 2 novembre 2021, n. 31175; Cass. 10 ottobre 2017, n. 23697; Cass. 14 marzo 2016, n. 4920; Cass. 16 giugno 2009, n. 13953; si veda inoltre Cass. 8 giugno 2021, n. 15952 per il caso di un lavoratore con differente inquadramento che aveva dedotto in giudizio di avere goduto di autonomia nella gestione delle ferie al pari di un dirigente).
Sul piano processuale, sempre secondo il predetto orientamento giurisprudenziale, il potere decisionale del dirigente in relazione ai tempi di fruizione delle ferie non è presunto, ma deve essere provato dal datore di lavoro, mentre spetta al dirigente dimostrare le eventuali necessità aziendali eccezionali e obiettive impeditive di tale fruizione.
Di recente, peraltro, la Corte di Cassazione, muovendo dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, ha espresso un differente indirizzo nell'ambito di controversie che riguardavano dirigenti del settore pubblico ( Cass. 6 giugno 2022, n. 18140; Cass. 2 luglio 2020, n. 13613 ).
Più precisamente, la Corte di Cassazione ha osservato che, secondo l'interpretazione della Corte di Giustizia, l'art. 7 della direttiva 2003/88/CE osta ad una normativa nazionale secondo cui il prestatore di lavoro che non abbia esercitato il diritto alle ferie nel periodo di riferimento perda automaticamente tale diritto, senza verificare se, attraverso un'adeguata informazione, sia stato posto dal datore di lavoro nelle condizioni di poterlo effettivamente esercitare (fra le altre, sentenza 6 novembre 2018 C-619/16; sentenza 6 novembre 2018 C-684/16 ).
In particolare, la Corte di Giustizia ha osservato che l'onere di garantirsi l'esercizio effettivo del diritto alle ferie non può essere posto interamente a carico del lavoratore, il quale, pertanto, deve essere invitato dal datore di lavoro a fruire delle ferie e informato che, in caso di mancato godimento, esse andranno perse al termine del periodo di riferimento; inoltre, spetta al datore di lavoro provare in giudizio di aver agito con la diligenza necessaria affinché il lavoratore potesse effettivamente beneficiare delle ferie.
Sulla base di quanto sopra, la Corte di Cassazione ha, quindi, di recente affermato che il fatto che il dirigente possa decidere in autonomia quando beneficiare del periodo di ferie non fa venir meno il diritto all'indennità sostitutiva, in ipotesi di mancata fruizione, se il datore di lavoro, in adempimento dei suoi poteri di vigilanza, non dimostra di averlo formalmente invitato a godere delle ferie e di avere assicurato che l'organizzazione del lavoro e le esigenze di servizio non impedissero tale fruizione ( Cass. 6 giugno 2022, n. 18140, cit.; Cass. Cass. 2 luglio 2020, n. 13613 , cit.).
È auspicabile che questo nuovo orientamento della Suprema Corte, suscettibile di trovare applicazione anche con riferimento al rapporto di lavoro dirigenziale del settore privato, si consolidi. Esso, infatti, riconosce una tutela anche nei casi, probabilmente i più frequenti, in cui la mancata fruizione delle ferie è dipesa non da eventi eccezionali, ma da perduranti carenze organizzative o da altre circostanze relative all'organizzazione aziendale tali da non permettere al dirigente di assentarsi dal lavoro, viste anche le elevate responsabilità connesse al suo ruolo.
Inoltre, in un'ottica di trasparenza e buona fede, il medesimo orientamento pone a carico del datore di lavoro precisi doveri che appaiono il corollario dell'obbligo, previsto dal recente d.lgs. 27 giugno 2022 n. 104, attuativo della direttiva (UE) 2019/1152, di informare il lavoratore, al momento dell'assunzione o entro un certo termine dall'inizio della prestazione lavoro, di vari aspetti attinenti al rapporto di lavoro, tra cui anche la durata del periodo di ferie.
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*A cura dall'Avv. Carola Ferraris, Professional Partner, Partner 24ORE