Penale

Le aggravanti dei motivi futili e abietti sono diverse e non possono coesistere

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di Giuseppe Amato

Anche se accomunate nella formulazione dell'articolo 61, numero 1, del Cp, le aggravanti del motivo futile e del motivo abietto sono concettualmente diverse, come indicato dalla disgiuntiva “o” utilizzata nella norma. Ne deriva che difficilmente le due aggravanti possono coesistere e quindi, laddove contestualmente contestate, possono essere entrambe ravvisate solo in presenza di una adeguata motivazione. Questo il principio dei giudici della prima sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 39358 del 2015.

L’annullamento con rinvio della Corte - In base alle premesse espresse nel principio di diritto, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza per una rinnovata valutazione in ordine alla ravvisata compresenza delle due aggravanti in una vicenda in cui l'omicidio contestato all'imputato era stato ritenuto aggravato sia dai motivi abietti, siccome motivato da ragioni di predominio territoriale, sia dai motivi futili, consistiti in una ritorsione per un litigio per ragioni di frequentazione di una donna.

La diversità delle aggravanti - La Cassazione valorizza la diversità delle circostanze aggravanti dei motivi futili e dei motivi abietti, pur configurate nella stessa disposizione (articolo 61, numero 1, del Cp): la prima è soggettiva, mentre l'altra è oggettiva, e comunque ciascuna è ancorata a dati fattuali e antitetici, così che difficilmente esse possono coesistere.

Infatti, l'aggravante dei futili motivi sussiste allorché la determinazione criminosa sia stata indotta da uno stimolo esterno di tale levità, banalità e sproporzione, rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l'azione criminosa, e da potersi considerare, più che una causa determinante dell'evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso violento: si tratta, in sostanza, di un non-motivo.

Mentre per motivo abietto deve intendersi quello turpe, ignobile, che rivela nell'agente un grado tale di perversità da destare un profondo senso di ripugnanza in ogni persona di media moralità, nonché quello che, secondo il comune modo di sentire, è espressione di un sentimento spregevole o vile, che provoca ripulsione ed è ingiustificabile per l'abnormità di fronte al sentimento umano: si tratta di un motivo non giustificato dal sentire comune.

Corte di cassazione – Sezione I penale – Sentenza 29 settembre 2015 n. 39358

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