Il CommentoCivile

Class action: il nodo della “sovrapposizione” di due sistemi normativi. Focus sul contenzioso nel settore bancario e finanziario

La coesistenza di due sistemi volti a soddisfare la medesima esigenza porta con sé inevitabilmente il rischio di generare confusione operativa, inefficienze procedurali e ritardi, compromettendo l’efficacia stessa delle azioni

Class action lawsuit concept as a plaintiff group represented by many judge mallets or gavel icons coming down as a symbol for social litigation or organized legal legislation.

di Stefano Belleggia*

Le azioni collettive

Negli ultimi anni sono state introdotte in Italia nuove normative volte a rendere più efficace lo strumento delle azioni collettive contro le imprese.

A far tempo dal 25 giugno 2023, è possibile accedere in Italia a due tipi di azioni collettive:

(i) l’azione rappresentativa, introdotta dal D.Lgs. 28/2023 che recepisce la Direttiva UE 2020/1828, ed entrata in vigore appunto il 25 giugno 2023; e

(ii) l’azione di classe, disciplinata dalla Legge 31/2019 e in vigore già dal 19 maggio 2021.

L’azione rappresentativa mira a garantire l’accesso collettivo alla giustizia ai consumatori danneggiati dalle violazioni, da parte di un’impresa, delle numerose norme europee elencate nell’Allegato I della Direttiva. 

L’azione rappresentativa è esperibile esclusivamente dagli Enti legittimati (tra cui, le associazioni dei consumatori, mentre i singoli consumatori non sono direttamente autorizzati ad agire), al fine di ottenere provvedimenti inibitori e/o compensativi, a tutela soltanto degli interessi collettivi dei consumatori nei confronti dei professionisti (non è ammessa quindi l’azione rappresentativa nell’ambito dei rapporti business to business). L’ambito di applicazione pertanto non è generale, ma circoscritto appunto soltanto ai rapporti tra consumatori e professionisti.

L’azione rappresentativa può assumere una declinazione “transfrontaliera” e una “nazionale. L’azione rappresentativa “transfrontaliera” permette alle associazioni di consumatori di altri Stati UE di promuovere azioni anche in Italia, e alle associazioni italiane di fare altrettanto in altri Stati membri, con ciò fornendo un’adeguata tutela ai consumatori cittadini dei diversi Stati membri che risultino danneggiati dalla medesima impresa operante in tutta Europa, come nel caso di imprese che gestiscono piattaforme digitali. Mentre l’azione rappresentativa “nazionale” si colloca in parallelo – per non dire, che si sovrappone in gran parte – all’azione di classe disciplinata dalla Legge 31/2019.

La Legge 31/2019 assicura la tutela collettiva, prevedendo che l’azione di classe sia diretta a tutelare i “diritti individuali omogenei lesi da comportamenti posti in essere da un’impresa nell’esercizio della sua attività, senza alcuna limitazione soggettiva od oggettiva. L’azione di classe, quindi, fornisce una tutela collettiva di carattere generale, giacché può essere esercitata a tutela dei diritti non solo dei consumatori, ma anche di qualsiasi membro di una classe di danneggiati: siano essi persone fisiche e/o giuridiche. Ne consegue dunque che l’azione di classe è ammessa anche nell’ambito dei rapporti business to business, a differenza dell’azione rappresentativa.

Dal punto di vista processuale, l’azione rappresentativa e l’azione di classe sono molto simili: entrambe si articolano in tre fasi:

(i) il giudizio di ammissibilità;

(ii) la seconda fase per l’esame del merito, nella quale viene attribuita la prima facoltà di adesione all’azione collettiva; e

(iii) la fase di liquidazione, con la previsione di una seconda facoltà di adesione all’azione.

I due sistemi normativi in commento, quindi, adottano entrambi il meccanismo dell’opt-in, incentrato su un sistema di adesione a doppio turno, che permette di aderire all’azione anche dopo la sentenza favorevole che accoglie la domanda collettiva. Tale sistema, tuttavia, potrebbe creare non pochi problemi alle imprese convenute nel valutare l’entità delle pretese e nel gestire accantonamenti e soluzioni transattive, posto che il numero effettivo di aderenti potrebbe essere noto solo alla fine del processo. Le imprese convenute dovranno quindi approntare adeguati presidi per gestire il rischio di causa derivante dalle azioni collettive. 

Di fronte a questo articolato panorama sulla class action in Italia, caratterizzato da una sostanziale sovrapposizione di due differenti sistemi normativi che mirano entrambi a soddisfare la medesima esigenza di tutela collettiva, la domanda sorge spontanea: è davvero utile ritrovarsi con due differenti offerte normative che si prefiggono di raggiungere il medesimo risultato?

Invero, la coesistenza di due sistemi volti a soddisfare la medesima esigenza porta con sé inevitabilmente – e inutilmente – il rischio di generare confusione operativa, inefficienze procedurali e ritardi, compromettendo l’efficacia stessa delle azioni.

Al fine di garantire, quindi, un quadro normativo più razionale, chiaro ed efficace, sarebbe opportuno evitare inutili duplicazioni e impegnarsi nel sintetizzare le due normative, realizzando un unico modello di class action. L’azione rappresentativa – certamente suscettibile di miglioramenti e implementazioni – avrebbe anche il vantaggio di garantire una tutela uniforme all’interno di tutta l’Unione Europea e di soddisfare maggiormente il principio comunitario di effettività.

Possibili azioni collettive nel settore bancario e finanziario

Le azioni collettive potrebbero impattare il contenzioso anche nei settori bancario e finanziario, rispetto ai quali sono state avviate le prime azioni sulla base delle nuove normative entrate in vigore. Per la verità ad oggi risulta soltanto un esiguo numero di azioni collettive in tali settori. Tuttavia, solo negli ultimi mesi, sono risultate diverse azioni rappresentative promosse nei confronti di alcune banche di fronte a differenti tribunali, tra cui Milano, Torino, Genova e Roma.

In tali ambiti, le azioni collettive sono spesso avviate quali “follow on actions”, ovvero azioni a seguito di segnalazioni (e sanzioni) da parte delle Autorità di Vigilanza di settore (es. Consob, Banca d’Italia) o dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM).

Sono ipotizzabili diverse tipologie di contestazioni che potrebbero essere teoricamente tentate contro gli intermediari bancari e finanziari attraverso i nuovi strumenti delle azioni collettive.

Nell’ambito del contenzioso bancario, una prima categoria di azioni potrebbe essere quella volta a ottenere la nullità di clausole contrattuali reputate vessatorie, in quanto ritenute:

  • (i) di imporre a carico del consumatore illegittime limitazioni alla facoltà di sollevare eccezioni, oppure
  • (ii) in ogni caso di determinare un significativo squilibrio ai danni del consumatore medesimo. E in effetti ben sette delle azioni rappresentative promosse nell’ultimo periodo hanno avuto ad oggetto proprio questo tipo di contestazioni.

Un’altra tipologia di azioni collettive nei confronti delle banche potrebbe essere quella legata a ipotesi in cui i clienti – lamentando una scarsa trasparenza dei contratti bancari – ritengano siano stati loro addebitati tassi d’interesse o commissioni percepiti come eccessivamente elevati o impropriamente determinati a causa della vessatorietà delle clausole contrattuali sottostanti.

Nell’ambito dei servizi di investimento, invece, i clienti potrebbero decidere di promuovere azioni collettive per contestare di non aver ricevuto adeguate informazioni sui prodotti finanziari offerti oppure in seguito a casi di manipolazione del mercato o di insider trading.

Occorre comunque rilevare che le class action promosse contro le banche presentano tipicamente maggiori complessità e difficoltà, trattandosi di un settore altamente regolamentato, soggetto a normative specifiche e stringenti, che necessariamente influenzano le modalità di svolgimento delle azioni e il loro stesso successo. Le peculiarità intrinseche proprio dei servizi prestati dagli intermediari finanziari potrebbero comportare molteplici criticità già nella fase preliminare di ammissibilità delle azioni di classe, a cominciare dalla identificazione dei diritti omogenei asseritamente lesi.

Giova poi aggiungere sul tema che lo sviluppo di nuove tecnologie ha avuto un impatto significativo sui servizi bancari e finanziari tradizionali, come dimostrato dall’aumento delle transazioni online e dall’uso di app di pagamento e banche digitali. L’uso di tecnologie avanzate, come l’intelligenza artificiale, le piattaforme di finanza decentralizzata e la blockchain, potrebbe incrementare il rischio di illeciti plurioffensivi, aprendo la strada a contenziosi collettivi per casi di frodi online, phishing, malfunzionamenti dei c.d. Robo Advice e delle piattaforme digitali o per violazioni di cybersecurity e privacy.

Anche la crescente attenzione ai rischi legati ai temi ESG e alla finanza sostenibile potrebbe dare origine ad azioni collettive contro gli intermediari finanziari, con accuse aventi ad oggetto asserite dichiarazioni ingannevoli sulle pratiche ESG o la distribuzione di prodotti non conformi alle caratteristiche dichiarate (c.d. greenwashing).

Anche in questi casi è comunque doveroso precisare che le azioni di classe, in ambiti così peculiari, non sono facilmente concepibili e numerosi aspetti critici potrebbero emergere, anche qui, sin dalla fase di valutazione della loro ammissibilità.

Rimedi

Lo sviluppo di nuove forme di azioni collettive rende quindi sempre più necessario anche per le banche e gli intermediari finanziari implementare efficaci strategie di protezione. Per prevenire o ridurre i rischi derivanti da tali azioni, le banche devono adottare una serie di azioni concrete, a livello di governance e di compliance.

In primo luogo, è essenziale rafforzare la trasparenza, assicurando che le informazioni fornite ai clienti e al mercato siano sempre chiare e accurate. Un’efficace gestione del rischio legale, con il supporto di un team dedicato a monitorare potenziali contenziosi collettivi, può prevenire molte problematiche legate a questo tema. Fondamentale è anche il rafforzamento dei controlli interni, che aiutano a individuare in anticipo eventuali pratiche scorrette o violazioni di normative.

Dal lato della compliance, la revisione costante delle politiche aziendali e la formazione continua dei dipendenti su leggi e rischi specifici sono cruciali per mantenere l’azienda in linea con le normative. Creare un sistema efficiente di gestione dei reclami può inoltre evitare che i malumori dei clienti degenerino in azioni legali collettive. È importante anche incentivare metodi alternativi di risoluzione delle controversie.

Un altro aspetto essenziale è mantenersi aggiornati su normative e sentenze rilevanti, monitorando in particolare le controversie collettive avviate contro altre società del settore, per identificare potenziali aree di vulnerabilità e adattare le proprie strategie di prevenzione.

Questi interventi non solo riducono il rischio di azioni collettive, ma migliorano anche la reputazione aziendale e la fiducia del mercato, oltre a fornire strumenti adeguati per affrontare efficacemente i processi collettivi che dovessero comunque essere introdotti.

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*Stefano Belleggia, partner di Dentons