Comunitario e Internazionale

Le Novità ESG tra sostenibilità e trasparenza e il loro impatto sull’economia reale

La CSRD estende significativamente gli obblighi di reporting, interessando una più ampia platea di aziende destinatarie e introducendo standard più rigorosi per la relazione sulla sostenibilità

Male hands touch screen virtual screen ESG button Sustainable corporate development concept

di Pietro Massimo Marangio*

A dieci anni dall’emanazione della Non-Financial Reporting Directive (NFRD), il suo ambito di applicazione, oggettivo e soggettivo, si appresta ad essere significativamente esteso, dal momento che la Direttiva 2022/2464/UE, nota come Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) e che costituisce un ulteriore e più sofisticato passo in avanti nel senso del rafforzamento della trasparenza e della responsabilità in materia di sostenibilità da parte delle imprese destinatarie, dovrà essere recepita entro il prossimo 6 luglio. A tale proposito, è stata diffusa per la pubblica consultazione la bozza di decreto del MEF di recepimento della CSRD – che estende significativamente gli obblighi di reporting della sostenibilità, interessando una più ampia platea di aziende destinatarie rispetto alla NFRD e introducendo standard più rigorosi per la relazione sulla sostenibilità.

Il processo di pubblica consultazione avviato in Italia per il recepimento della CSRD –concluso il 18 marzo scorso – costituisce un’importante occasione di dialogo tra le Autorità di vigilanza e i vari stakeholder – in primis le imprese, le organizzazioni della società civile e gli esperti di sostenibilità. Rispetto alla NFRD, sono incluse nell’ambito di applicazione della CSRD tutte le società quotate in borsa e le grandi imprese, con l’eccezione delle micro-imprese, cosicché, attraverso la trasparenza fornita al mercato, un numero sempre maggiore di società è ora responsabilizzato sulla propria “impronta” sociale e ambientale. Sono destinatarie degli obblighi di informativa tutte le imprese comunitarie che soddisfino almeno due requisiti su tre dei seguenti: un numero minimo di 250 dipendenti, 40 milioni di fatturato e/o 20 milioni di totale attivo, ma anche quelle società extra-UE le cui azioni siano quotate sui mercati regolamentati comunitari o che abbiano proprie succursali nel territorio dell’Unione.

Nel decennio di passaggio tra la NFRD e la CSRD, i più rilevanti provvedimenti comunitari, l’SFDR ( Sustainable Finance Disclosure Regulation Regolamento UE 2019/2088) e, in parte, anche il Taxonomy Regulation (Regolamento UE 2020/852) si erano rivolti agli intermediari finanziari (partecipanti ai mercati finanziari e consulenti finanziari), individuando in essi i soggetti responsabili di indirizzare i flussi di investimento e finanziamento verso le imprese dell’economia reale più virtuose in termini di rispetto dei criteri ESG ( environmental, social e governance ).

Con la CSRD – ma non solo: anche con la recentissima Direttiva UE 2024/825 sulla responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde e volta a contrastare il greenwashing (“Direttiva Greenwashing”), nonché con la proposta di Corporate Sustainability Due Diligence Directive, su cui sia consentito rinviare a questo contributo ed il cui testo di compromesso è stato approvato dal Consiglio UE il 15 marzo scorso – il pendolo degli interventi normativi euro-unitari oscilla dal settore dell’intermediazione finanziaria a quello dell’economia reale. A questi ultimi provvedimenti si aggiungono poi quegli rientranti nell’ambito del pacchetto “ Fit for 55 ”, quali, a titolo di esempio, la Energy Efficiency Directive e la Energy Performance of Buildings Directive (entrambe oggetto di recente e completa rifusione), oppure l’accordo, raggiunto lo scorso febbraio tra Consiglio e Parlamento UE, relativo alle modifiche al Regolamento UE 2019/631 sull’obbligo di emissioni di CO2 pari a zero del nuovo parco macchine a partire dal 2035, misure destinate tutte ad avere un impatto rilevante e diretto sulla vita quotidiana dei cittadini dell’Unione Europea.

 

Tornando alla CSRD, una delle sue più significative novità è rappresentata dal grado di maggiore granularità della rendicontazione di sostenibilità. L’implementazione della CSRD prevede l’introduzione degli European Sustainability Reporting Standards (ESRS), tesi alla creazione di un contesto normativo armonizzato e coerente per la rendicontazione di sostenibilità, facilitando per gli stakeholder (ivi inclusi gli investitori) il confronto e la valutazione delle performance ESG delle imprese.

Un ruolo fondamentale, per l’attestazione di conformità della reportistica aziendale di sostenibilità è attribuito, sia dalla CSRD sia dalla citata bozza di decreto del MEF, al revisore legale o alla società di revisione contabile. È stato previsto un periodo transitorio fino al 31 dicembre 2025 durante il quale i revisori sono esentati dall’obbligo di possedere esperienza specifica in materia di rendicontazione di sostenibilità, così da fornire loro il tempo necessario per acquisire le competenze richieste attraverso formazione specifica, ivi inclusa la possibilità di superare un nuovo esame di abilitazione professionale.

Nella pubblica consultazione si prevede inoltre un regime sanzionatorio severo per chi non rispetta le nuove normative, evidenziando l’importanza di assicurare che le dichiarazioni di sostenibilità siano affidabili e trasparenti.

 

Il calendario di implementazione della CSRD prevedeva originariamente un’applicazione graduale, a partire dal 2024, per le imprese già soggette alla NFRD, estendendosi ad altre categorie di imprese nei due anni successivi. Il mese scorso, però, è intervenuto un accordo provvisorio tra Consiglio e Parlamento UE, ai sensi del quale l’applicazione degli EFRS è stata posticipata a giugno 2026, al fine di concedere alle imprese destinatarie un periodo maggiore per adeguarsi ai nuovi e complessi requisiti di rendicontazione di sostenibilità (che entra nell’equazione di profitto delle società con pari dignità delle informazioni economiche-finanziarie).

 

Il 28 febbraio scorso, infine, è stata emanata la citata Direttiva Greenwashing: il contrasto alle pratiche commerciali scorrette in prospettiva ambientale e la relativa sensibilizzazione dei consumatori si estende ora a tutti i prodotti e servizi, così ben oltre i casi dei fondi comuni di investimento (si segnala già una prima casistica di fondi che sono stati accusati di investire in attività rispettose dell’ambiente soltanto a parole, cioè quelle dei loro regolamenti, prospetti e della relativa documentazione di marketing, ma non in concreto). Tale contrasto, declinato ad esempio nel divieto delle c.d. “ asserzioni ambientali generiche ”, ben può essere interpretato come il secondo pilastro che, facendo il paio con gli obblighi della CSRD in materia di informativa sulla sostenibilità, sorregge l’architrave della trasparenza e della riduzione delle asimmetrie informative in ambito ESG.

Imprese trasparenti e consumatori consapevoli sono infatti due facce della stessa medaglia e gli attori vitali ed entrambi necessari affinché un progetto euro-unitario così trasformativo ed ambizioso come quello della sostenibilità (ambientale, sociale e di genere) possa avere successo nell’attuale e complesso contesto geopolitico ed economico, ricco di incognite, “stop-and-go”, interessi lobbistici e pulsioni reazionarie.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©