Legittimo il licenziamento intimato in base alle esemplificazioni previste dal CCNL, fatto salvo il giudizio di proporzionalità
Presa in considerazione anche la recidiva del lavoratore ai fini della corretta qualificazione giuridica della condotta nell'alveo della giusta causa di licenziamento
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 15140 del 30 maggio 2023 , è tornata ad occuparsi del licenziamento per giusta causa comminato ad un lavoratore a tempo determinato per reiterata negligenza nell'esecuzione della prestazione lavorativa, essendo risultato recidivo nella condotta negligente, già precedentemente sanzionata con la misura della sospensione disciplinare.
La Corte d'Appello, confermando la sentenza di primo grado, aveva respinto il ricorso dell'ex-dipendente, ritenendo sussistente la giusta causa posta alla base del provvedimento espulsivo irrogato dal datore di lavoro.
La decisione della Corte di merito si basava su un giudizio di valutazione della gravità della condotta e della proporzionalità della sanzione, con riferimento sia alle previsioni del contratto collettivo applicato che alla recidiva specifica in cui era incorso il dipendente.
Ricorreva in cassazione il lavoratore, chiedendo la censura di legittimità – inter alia – per erronea o falsa applicazione di norma imperativa di legge, nella misura in cui il licenziamento intimato rientrava nella fattispecie del licenziamento "per scarso rendimento", in quanto tale per giustificato motivo soggettivo e non "per giusta causa".
La Suprema Corte, nel motivare il provvedimento di rigetto del ricorso promosso dal lavoratore, ha richiamato il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale la verifica della gravità e della proporzionalità della condotta sono di competenza dell'attività sussuntiva e valutativa del Giudice di merito, che deve fare riferimento da un lato agli elementi concreti della fattispecie – di natura oggettiva e soggettiva – e dall'altro alla ponderazione effettuata dalla contrattazione collettiva. Ciò poiché "la scala valoriale formulata dalle parti sociali deve costituire uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell'art. 2119 cod. civ.".
Nel motivare il rigetto, la Corte ha inoltre riaffermato il principio secondo il quale al fine di valutare la sussistenza dei motivi del licenziamento non si dovrà fare riferimento solo alla riconducibilità dei fatti concreti alle ipotesi previste dalla contrattazione collettiva, ma occorrerà anche verificare la gravità della condotta del lavoratore e la proporzionalità della sanzione a quest'ultimo irrogata, tenendo conto della capacità delle azioni del lavoratore di recare pregiudizio agli scopi aziendali, concentrandosi su quelle condotte del lavoratore che rivelino una "scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti e a conformarsi ai canoni di buona fede e correttezza".
Nel caso di specie, la valutazione dei giudici di merito è risultata incensurabile anche per aver preso in considerazione la recidiva del lavoratore che aveva posto in essere condotte della medesima specie, alle quali erano seguite tre sanzioni sospensive, ai fini della corretta qualificazione giuridica della condotta nell'alveo della giusta causa di licenziamento.
In conclusione la valutazione dei fatti, secondo la Cassazione, è stata correttamente effettuata dalla Corte d'Appello – la quale aveva preso in considerazione anche tutti i precedenti imputabili al lavoratore, dando rilevanza alla recidiva plurima e specifica contestata allo stesso, in linea con la scala valoriale dettata dalle parti sociali – e pertanto rigettava il ricorso proposto dall'ex-dipendente.
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*A cura di Avv. Alberto De Luca - Dott.ssa Chiara Carminati, Studio Legale De Luca & Partners