Civile

Licenziamenti: per il dirigente niente repechage basta che il recesso sia giustificato

Per il dipendente, invece, prima dell'allontanamento si deve provare a ricollocarlo all'interno dell'azienda

di Giampaolo Piagnerelli

«In caso di licenziamento del dirigente d'azienda per esigenze di ristrutturazione aziendale è esclusa la possibilità del repêchage in quanto incompatibile con la posizione dirigenziale del lavoratore, assistita da un regime di libera recedibilità del datore di lavoro». Lo precisa la Cassazione con l'ordinanza n. 2895/23. I Supremi giudici, così, hanno ribadito l'evidente disparità di trattamento tra il dipendente e il dirigente. Mentre per il primo, infatti, il datore prima di procedere al licenziamento deve valutare la possibilità di ripescaggio e quindi di ricollocazione all'interno dell'azienda, il dirigente invece - in presenza di una situazione di crisi - può essere allontanato senza "troppe spiegazioni". Nel caso specifico il funzionario ha presentato ricorso in Cassazione. Con il primo motivo il ricorrente - denunciando violazione e falsa applicazione degli articoli 26 e 29 del Ccnl per i dirigenti dipendenti delle imprese creditizie del 19 aprile 2005, in relazione all'articolo 360, primo comma, n. 3, del Cpc, si duole che il giudice del gravame abbia affermato che il licenziamento era giustificato, senza nulla dire riguardo all'obbligo del repêchage. Ma la Cassazione ha ribadito il principio di diritto secondo cui per il licenziamento del dirigente d'azienda non opera l'obbligo di ripescaggio, ma deve sussistere la corrispondenza tra la ragione formalmente enunciata a fondamento del recesso e quella reale riscontrata nel processo. Per concludere i Supremi giudici, richiamando anche le sentenze di merito sulla questione del repêchage, hanno sancito la legittimità del licenziamento impugnato in linea con la nozione di "giustificatezza" propria del recesso nell'ambito del rapporto di lavoro dirigenziale.

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