Lavoro

Licenziamenti durante la pandemia: non basta l'inattività dell'impresa per giustificare la risoluzione del rapporto

Secondo il tribunale di Roma il datore deve fornire la prova che l'attività è cessata in modo definitivo

di Andrea Alberto Moramarco

Sotto la vigenza del blocco dei licenziamenti – introdotto dal Dl Cura Italia e poi confermato e prorogato a più riprese sino al Dl sostegni – il licenziamento di un dipendente è giustificato solo dalla cessazione definitiva dell'attività di impresa. Questa va però provata, non essendo sufficiente a legittimare il licenziamento la mera inattività dell'impresa. A dirlo è il Tribunale di Roma con la sentenza n. 2362 del 12 marzo 2021.

La vicenda
La decisione riguarda il rapporto di lavoro intercorrente tra una srl, operativa nel servizio della ristorazione, e un suo dipendente, avente la qualifica di vice capo cuoco. Quest'ultimo il 7 settembre 2020 riceveva dal proprio datore di lavoro una lettera di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ovvero per cessazione dell'attività aziendale. In particolare, a giustificare il provvedimento erano "gli effetti legati alla crisi sia del settore che generale, con conseguente drastica riduzione dei consumi, che non permettono la prosecuzione dell'attività lavorativa". La srl da mesi era di fatto ferma, da quando cioè il 14 maggio 2020 la committente di un contrato di appalto di servizi – principale attività della srl - aveva risolto il contratto per causa di forza maggiore.
Il lavoratore impugnava il licenziamento ritenendolo contrario a tutta la disciplina emergenziale emanata dal Governo durante la pandemia, la quale ha previsto un blocco dei licenziamenti, salvo la cessazione dell'attività dell'impresa, che nella fattispecie non ricorrerebbe.

La decisione
Il Tribunale accoglie il ricorso dichiarando nullo il licenziamento e condannando la società alla reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro. Il giudice spiega che il divieto di licenziamento è stato introdotto inizialmente dall'articolo 46 del Dl Cura Italia, per poi essere confermato e prorogato dall'articolo 80 Dl Rilancio prima e dall'articolo 14 del Dl Agosto poi, per poi essere nuovamente confermato ed esteso dall'articolo 12 Dl Ristori e, da ultimo, dall'articolo 8 del Dl Sostegni.
Al caso di specie, risulta applicabile la disciplina dettata dall'articolo 14 del Dl Agosto, il quale escludeva dal divieto i licenziamenti adottati per cessazione definitiva dell'attività di impresa, ovvero intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l'esercizio provvisorio dell'impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione.
Ciò posto, secondo il Tribunale, affinché il licenziamento sia valido per cessazione dell'attività «il datore di lavoro non può limitarsi a fornire la prova di non svolgere alcuna attività ma deve provare che l'attività di impresa è cessata in modo definitivo, in conseguenza della messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell'attività.». Nel caso di specie, tale prova non è stata fornita, risultando anzi che «l'impresa non è definitivamente cessata, e non è stata neanche cancellata, né messa in liquidazione, pur risultando in questo momento inattiva». È irrilevante poi che il principale contratto della società sia stato risolto dalla committente, dato che, in assenza della prova della fine dell'attività, la sola cessazione di un contratto di appalto non legittima il licenziamento.

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