Licenziamento per superamento del comporto dichiarato nullo: reintegrazione anche sotto i 15 dipendenti
Il criterio selettivo basato sul numero dei dipendenti non può legittimare una diversificazione delle conseguenze del licenziamento nullo
In caso di accertamento della nullità del licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto, deve trovare applicazione il regime sanzionatorio speciale previsto dal comma 7 dell'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, con applicazione della tutela reintegratoria, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro.
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 27334 del 16 settembre 2022 , torna ad affrontare l'articolata questione della scelta della tutela, risarcitoria o reintegratoria, da riconoscere al dipendente illegittimamente licenziato al termine del periodo di comporto, ovverosia del lasso di tempo in cui ha diritto alla conservazione del posto di lavoro in costanza di malattia.
Nella vicenda esaminata dai giudici di legittimità, una lavoratrice aveva agito in giudizio nei confronti del proprio datore di lavoro (una azienda con meno di 15 dipendenti) per essere stata licenziata per superamento del periodo di comporto, chiedendo la reintegra nelle mansioni precedentemente svolte nonché il risarcimento del danno subito.
In primo e in secondo grado, i Giudici avevano entrambi accertato la nullità del licenziamento, escludendo dal calcolo dei giorni ai fini del comporto quelli di assenza dovuti ad infortunio sul lavoro, disponendo tuttavia tutele non omogenee.
Il giudice di prime cure, infatti, aveva disposto l'applicazione della tutela reintegratoria, mentre per la Corte d'Appello la tutela per la lavoratrice era solo indennitaria, non potendo trovare applicazione il comma 7 dell'art. 18 della L. 300/1970 applicabile esclusivamente al datore di lavoro con più di quindici dipendenti.
Cassando la decisione della Corte d'Appello, la Corte Suprema ha sancito che il licenziamento per superamento del periodo di comporto ex art. 2110, comma 2, cod. civ., è fattispecie autonoma di licenziamento (estranea al concetto di giustificato motivo di cui all'art. 3 L. 604/66) e la cui violazione comporta la radicale nullità dell'atto espulsivo.
Ne consegue che, anche in caso di datore di lavoro con meno di quindici dipendenti, al licenziamento nullo per violazione del periodo di comporto non si applica la sola tutela indennitaria di cui all'art. 8 L. 604/1966, bensì la tutela reintegratoria.
In particolare, nel percorso logico giuridico riportato nella sentenza in commento, la Corte di Cassazione ricorda che la scelta legislativa è stata quella di raccogliere nel primo comma dell'art. 18 L. 300/1970 "tutti i casi di nullità del licenziamento previsti dalla legge" (a prescindere dal requisito dimensionale del datore di lavoro) e di ricondurre espressamente al comma 7 del medesimo articolo l'ipotesi di nullità licenziamento ex art. 2110, comma 2, cod. civ. (che tuttavia troverebbe applicazione per le sole aziende con più di quindici dipendenti).
Per la Corte di Cassazione, in proposito, è irrilevante il criterio selettivo basato sul numero dei dipendenti che, se può giustificare livelli diversi di tutela in ipotesi di licenziamento annullabile, non può legittimare una diversificazione delle conseguenze del licenziamento nullo.
La sentenza è consequenziale alla pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite (n. 12568/2018) che, superando un contrasto giurisprudenziale formatosi sul tema, aveva sancito la nullità del recesso intimato in violazione dell'art. 2110, comma 2, cod. civ., anziché la sua inefficacia, confermando l'orientamento già espresso dalla sentenza della Cassazione Sezione Lavoro n. 19661 del 2019 che aveva quindi già affermato l'applicazione della tutela reintegratoria indipendentemente dal numero di dipendenti impiegati dal datore di lavoro.
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*A cura degli Avv.ti Alberto De Luca, Claudia Cerbone