Civile

Limiti di tempo per l'accesso ai tabulati telefonici per finalità di investigazioni difensive

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di Andrea Alberto Moramarco

Una volta trascorsi 24 mesi, è precluso ai privati l'accesso e il conseguente utilizzo dei dati del traffico telefonico per finalità di investigazioni difensive, in relazione a procedimenti penali per reati diversi da quelli indicati dall'articolo 407 comma 2 lettera a) del Cpp. Lo ha affermato la Cassazione nella sentenza 1625/2016 applicando l'articolo 132 del Codice della privacy (Dlgs 196/2003) nella versione risultante dalle modifiche apportate dal Dl 144/2005 utilizzabile ratione teporis alla fattispecie.

Il caso - Protagonista della vicenda è un signore imputato in un procedimento penale per il reato di cui all'articolo 416 del codice penale, che a fine 2006 aveva chiesto ad una società operante nel settore telefonico di accedere ai tabulati di una utenza mobile relativi al periodo 2001-2004. L'istanza di accesso era motivata dalla esigenza di procedere ad investigazioni difensive in relazione al processo penale a suo carico. La società, tuttavia, rigettava tale istanza in quanto tardiva e il diniego di accesso ai tabulati telefonici veniva confermato prima dal Garante per la protezione dei dati personali ed in seguito dal Tribunale di Milano. In sostanza, alla base del rigetto vi era l'applicazione dell'articolo 132 del Codice della privacy (Dlgs 196/2003) – nel testo applicabile ratione temporis – che prevedeva un termine di 24 mesi, a disposizione dei privati, per l'accesso ai dati delle conversazioni telefoniche in relazione alla finalità di accertamento e repressione dei reati.
L'uomo riteneva, invece, che la società avrebbe dovuto conservare i dati telefonici per 48 mesi, in quanto per il reato di associazione a delinquere – e per tutti i reati per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza, a norma dell'articolo 270 Cpp - doveva applicarsi l'articolo 132 comma 2 del Codice della privacy, che prevedeva l'ulteriore termine di 24 mesi. Inoltre, la mancata conservazione dei dati da parte della società avrebbe violato il diritto di difesa dell'imputato.

La decisione - La questione arriva in Cassazione dove i giudici di legittimità confermano la bontà della decisione di merito. La Corte spiega, infatti, che l'ulteriore termine di 24 mesi richiesto dal ricorrente - «entro il quale il difensore dell'imputato o della persona indagata poteva chiedere direttamente al fornitore i dati relativi al proprio assistito» - era in realtà previsto solo per l'accertamento e la repressione dei reati di cui all'articolo 407 comma 2 lettera a) del Cpp e di quelli in danno dei sistemi informatici o telematici, non essendo, dunque, pertinente il richiamo all'articolo 270 Cpp fatto dal ricorrente.
Ciò posto, la Corte ritiene che la mancata conservazione dei dati da parte della società non abbia leso il diritto di difesa del ricorrente. Difatti, il bilanciamento del «diritto dei terzi coinvolti nei dati di traffico telefonico alla segretezza delle comunicazioni e il diritto di difesa al quale è funzionale l'esigenza investigativa dei privati richiedenti l'accesso» è stata effettuata direttamente e discrezionalmente dal legislatore, il quale ha individuato un lasso di tempo distinto a seconda della tipologia di reato interessato, trascorso il quale il diritto di accesso finalizzato alle esigenze investigative non può più essere esercitato.

Corte di cassazione - Sezione I civile -Sentenza 28 gennaio 2016 n. 1625

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