Comunitario e Internazionale

Litigation Funding: pubblicato lo studio promosso dalla Commissione europea

Dall’indagine emerge il quadro di un mercato europeo in progressiva espansione quanto al numero di operatori, seppur ancora frammentato e caratterizzato da una diffusa assenza di una disciplina normativa specifica

European Union laws, legal system and parliament concept with a 3d render of a gavel on a wooden desktop and the EU flag.

di Giacomo Lorenzo*

Il 21 marzo 2025 è stato pubblicato lo studio promosso dalla Commissione Europea e affidato al Justice and Consumers Evaluation Consortium (JCEC) denominato “Mapping Third Party Litigation Funding in the European Union”. L’iniziativa nasce in risposta alla Risoluzione del Parlamento Europeo del 13 settembre 2022, che sollecitava la Commissione a definire regole comuni per garantire una maggiore trasparenza e coerenza nel settore dellitigation funding. L’obiettivo dello studio è quello di esaminare la normativa esistente, le modalità operative e le posizioni degli stakeholder in relazione al litigation funding negli Stati membri dell’Unione europea e in selezionate giurisdizioni extra-UE.

La peculiarità del report risiede anche nella metodologia adottata, che ha previsto il coinvolgimento diretto dei principali attori del mercato.

Grazie al contributo di accademici e professionisti, il report offre una panoramica articolata delle prassi operative, della normativa vigente e delle potenzialità connesse al litigation funding. Il documento fornisce indicazioni concrete non solo per il legislatore, ma anche per gli operatori del mercato, rappresentando uno strumento di orientamento strategico per studi legali, funder e imprese.

Tale lavoro assume particolare rilevanza in quanto descrive le caratteristiche di un settore in espansione a livello europeo. La sua funzione, tuttavia, non si esaurisce nella dimensione descrittiva, ma costituisce anche una base per valutare l’opportunità di un intervento normativo a livello nazionale ed europeo. I risultati dello studio saranno infatti utilizzati dalla Commissione per l’elaborazione di eventuali iniziative legislative in materia di litigation funding, qualora ritenute necessarie.

Metodologia di ricerca adottata

La metodologia dello studio adottata si articola in quattro componenti principali: la redazione di report nazionali da parte di esperti giuridici selezionati, incaricati di analizzare la normativa vigente e le prassi operative sul TPLF nei vari Stati membri e in alcune giurisdizioni extra-UE; lo svolgimento di interviste qualitative con stakeholder rilevanti (funder, avvocati, imprese, autorità giudiziarie) in ciascun Paese; una consultazione su larga scala a livello europeo, tramite questionari online rivolti ai diversi soggetti coinvolti nel contenziosi in cui è stato utilizzato il litigation funding; infine, un panel di esperti, convocato per discutere i risultati preliminari e le possibili implicazioni normative.

Lo studio, quindi, si distingue per l’ampiezza metodologica e per la capacità di integrare analisi giuridica, indagine empirica e confronto con esperti del settore. L’indagine è estesa a tutti i 27 Stati membri dell’Unione Europea, tra cui anche l’Italia, ai quali si sono aggiunti Regno Unito, Stati Uniti, Canada e Svizzera.

Le caratteristiche del mercato europeo del litigation funding

Dall’indagine emerge il quadro di un mercato europeo del litigation funding in progressiva espansione quanto al numero di operatori, seppur ancora frammentato e caratterizzato da una diffusa assenza di una disciplina normativa specifica.

Nella maggior parte degli Stati membri dell’UE, l’unico riferimento normativo che disciplina taluni aspetti del litigation funding è rappresentato dall’attuazione della Direttiva (UE) 2020/1828 sulle azioni rappresentative (“RAD”), con particolare riguardo all’articolo 10, il quale mira a garantire che, nei casi in cui un’entità qualificata promuova un’azione rappresentativa volta all’ottenimento di misure risarcitorie, siano previste adeguate misure di trasparenza in relazione a chi fornisce un supporto economico dell’azione stessa. Tali misure sono volte a indagare su possibili conflitti di interesse.

Il report evidenzia che, a seguito delle consultazioni con gli stakeholder, sono stati individuati quasi 300 litigation funder attivi in Europa, molti dei quali operano in più Stati membri. Alcuni funder, coinvolti direttamente nelle consultazioni, hanno confermato che il ricorso a tale strumento rappresenta una prassi ormai consolidata in diversi ordinamenti dell’Unione, in particolare in Germania e nei Paesi Bassi. Anche Belgio, Francia, Austria, Spagna, Portogallo, Danimarca, Svezia e Italia sono stati segnalati come contesti nazionali in cui l’attività dei litigation funder risulta significativa.

Una delle principali difficoltà da sempre riscontrate nell’inquadrare la reale dimensione dell’industria del litigation funding riguarda l’assenza di dati affidabili sul numero di controversie in cui interviene un litigation funder. Questa carenza informativa è riconducibile all’assenza di obblighi di disclosure in merito alla presenza di un soggetto terzo che supporti l’azione giudiziaria ed è stata confermata dai risultati dell’indagine. Una fonte rilevante di informazioni, però, è rappresentata dagli stessi litigation funder: in totale, 23 operatori hanno condiviso dati relativi alle proprie attività nell’Unione europea.

Le cifre riportate variano da meno di 10 a oltre 100 controversie in cui sono intervenuti annualmente per ciascun funder, per un totale di circa 700 procedimenti complessivi (compresi quelli in fase esecutiva), di cui meno di 100 in sede arbitrale. Alcuni funder hanno precisato che i dati forniti si riferiscono ai procedimenti pendenti in un determinato anno, mentre altri hanno basato le proprie stime sul numero di nuovi casi in cui hanno investito in un determinato anno, pertanto nel report è stato chiarito che i dati potrebbero avere diverse interpretazioni.

Dalle risposte degli stakeholder si evince che il valore delle suddette controversie che vedono l’intervento dei litigation funder si colloca prevalentemente tra i 5 e i 300 milioni di euro, anche se non mancano operazioni sotto il milione, in particolare nei contenziosi seriali. Le modalità di remunerazione dei funder, invece si attestano mediamente in una percentuale che oscilla tra il 20% e il 30% dell’importo recuperato, ma gli accordi possono prevedere anche strutture contrattuali più sofisticate, basate su multipli dell’investimento.

Risultati della consultazione con gli stakeholder

La consultazione condotta nell’ambito dello studio ha coinvolto 231 partecipanti provenienti da tutti i 27 Stati membri dell’Unione Europea e nonché da Regno Unito, Canada, Svizzera e Stati Uniti. L’indagine è stata articolata su due livelli: un questionario sul contesto nazionale (84 risposte) e un sondaggio paneuropeo (147 risposte), a cui si è affiancata una serie di interviste dirette a stakeholder chiave. La partecipazione ha incluso studi legali (31%), imprese (23%), litigation funder (13%), organizzazioni dei consumatori (12%), autorità pubbliche, magistrati, arbitri, accademici e altri attori (20%).

La distribuzione geografica ha visto una predominanza di risposte da Germania (21%), Paesi Bassi (16%), Belgio (15%), Spagna (14%), Austria (13%), Francia (13%), Italia (11%) e Portogallo (10%). Partecipazioni significative sono giunte anche da Regno Unito, Stati Uniti, Svizzera, Norvegia e Canada.

Il report analizza le opinioni degli stakeholder sugli effetti del litigation funding nell’UE: il 34% dei rispondenti ha riscontrato esclusivamente effetti positivi nell’utilizzo di tale strumento, il 24% una combinazione di effetti positivi e negativi, mentre solo il 17% ha espresso un giudizio esclusivamente negativo. Le imprese (escluse quelle che hanno usufruito del litigation funding) si sono mostrate le più critiche, mentre funder, organizzazioni di consumatori, studi legali e accademici hanno evidenziato prevalentemente benefici.

Tra gli effetti positivi maggiormente riconosciuti vi sono il maggiore accesso alla giustizia per soggetti con scarse risorse economiche, l’apporto di competenze specialistiche nei contenziosi complessi e un effetto di filtro, in quanto i funder tendono a sostenere solo le controversie con concrete possibilità di successo.

Le criticità riscontrate, invece, riguardano principalmente la possibile riduzione del risarcimento effettivo per i ricorrenti, il rischio di conflitti di interesse, l’ingerenza dei funder nelle decisioni processuali e il supporto di cause pretestuose finalizzate a ottenere transazioni. Questo ultimo rischio è stato particolarmente sottolineato dalle imprese, probabilmente potenziali convenute in tali giudizi, soprattutto nei settori della proprietà intellettuale, della responsabilità da prodotto e del contenzioso societario.

Tre scenari per la regolamentazione del mercato europeo

La questione della regolamentazione del litigation funding rappresenta uno degli aspetti centrali dello studio promosso dalla Commissione Europea. Il 58% degli stakeholder consultati ha espresso la necessità di introdurre una disciplina ad hoc: il 29% ha auspicato un intervento a livello europeo, il 25% una regolazione mista (europea e nazionale), mentre solo il 4% ha indicato una preferenza per una normativa esclusivamente nazionale. Al contrario, il 29% non ha ritenuto necessaria alcuna regolamentazione e i restanti partecipanti hanno dichiarato di non sapere o non ha risposto.

Le principali motivazioni addotte in favore di una regolamentazione riguardano la diminuzione eccessiva delle somme spettanti al soggetto che ha beneficiato della soluzione di litigation funding, l’influenza del funder sulle scelte strategiche del processo e la gestione dei potenziali conflitti di interesse. D’altro canto, è emersa una chiara consapevolezza sul rischio che una regolamentazione troppo rigida possa disincentivare l’ingresso di capitali nel settore, impattando negativamente sullo sviluppo dell’industria e ostacolando l’accesso alla giustizia.

Attualmente, nella maggior parte degli Stati membri, il litigation funding opera in assenza di una disciplina specifica, ad eccezione di quanto previsto dalla Direttiva (UE) 2020/1828 sulle azioni rappresentative, recepita in Italia con il D.lgs. 28/2023. In mancanza di una normativa organica, il fenomeno è disciplinato dai principi generali del diritto contrattuale e processuale civile, nonché dalle norme deontologiche applicabili agli avvocati. Nei casi in cui ad avvalersi del litigation funding sia un consumatore, trovano applicazione le tutele previste dalla normativa UE in materia di tutela dei consumatori.

Lo studio individua tre scenari regolatori alternativi per disciplinare il litigation funding nell’Unione europea. Il primo scenario prevede il mantenimento dell’attuale assetto normativo, fondato sull’applicazione delle disposizioni generali in materia di diritto civile, procedura civile, tutela del consumatore e principi deontologici applicabili ai professionisti coinvolti. In tale contesto, l’attività dei funder resta priva di una disciplina settoriale autonoma, facendo affidamento sul sistema normativo esistente per risolvere eventuali criticità.

Il secondo scenario ipotizza l’introduzione di un regime regolatorio selettivo e proporzionato, finalizzato a stabilire requisiti minimi – di natura patrimoniale, etica e informativa – a carico dei soggetti che operano nel settore. Tale approccio mira a garantire maggiore trasparenza contrattuale, prevenire situazioni di conflitto di interessi e assicurare una tutela effettiva delle parti più vulnerabili, senza ostacolare lo sviluppo del mercato. Si tratta di una soluzione coerente con i principi di soft law, in linea con l’impostazione suggerita dall’European Law Institute (ELI), che promuove una light touch regulation del settore.

Il terzo scenario contempla invece l’adozione di un modello regolatorio pienamente prescrittivo, basato sull’introduzione di un regime autorizzativo obbligatorio, l’imposizione di soglie minime di capitale, obblighi fiduciari, obblighi informativi estesi e un sistema di vigilanza affidato ad autorità indipendenti. Lo studio sottolinea, tuttavia, che in assenza di evidenze concrete relative ad abusi sistemici o disfunzionalità strutturali, una simile opzione potrebbe tradursi in un’eccessiva compressione della libertà negoziale e in un fenomeno di iper-regolamentazione, potenzialmente disincentivante per gli operatori del settore.

Diversi esperti hanno espresso preferenza per la seconda opzione, ritenendola un equilibrio efficace tra certezza giuridica e sostenibilità operativa. Le iniziative autoregolatorie già esistenti, come il Codice di Condotta dell’ELFA (European Litigation Funder Association), offrono un punto di partenza concreto per rafforzare le tutele senza introdurre vincoli stringenti e sproporzionati.

Al riguardo, le proposte più estreme avanzate dal Parlamento Europeo – come l’obbligo generalizzato di autorizzazione preventiva o la definizione uniforme delle clausole contrattuali – sono state giudicate eccessivamente rigide.

In sintesi, una regolamentazione efficace del litigation funding dovrebbe basarsi su criteri di proporzionalità, flessibilità e coerenza con gli strumenti esistenti, privilegiando l’autoregolamentazione come leva per promuovere integrità del mercato e protezione degli interessi delle parti.

Il focus sull’Italia: contesto giuridico permissivo e assenza di regolazione specifica

Il capitolo dedicato all’Italia, a cura della Professoressa Cristina Poncibò dell’Università di Torino, evidenzia come il litigation funding sia pienamente ammissibile nel nostro ordinamento, pur operando in assenza di una disciplina normativa specifica. Tale istituto è soggetto ai principi generali del diritto civile e rappresenta un contratto atipico.

La Professoressa Poncibò afferma inoltre che il mercato italiano è ancora in una fase embrionale, soprattutto se paragonato ordinamenti con ordinamenti dove il litigation funding rappresenta una prassi consolidata, come Germania e Paesi Bassi. Ciò è confermato anche da una presenza limitata di operatori: ne sono stati individuati in tutto cinque: tre prettamente italiani e due internazionali con una sede operativa in Italia.

Relativamente al quadro regolatorio, non è previsto alcun regime di vigilanza, salvo che l’operatore rientri in categorie già sottoposte a controlli, come le SICAV, le imprese vigilate da IVASS e gli intermediari bancari.

Il contributo italiano del report individua inoltre alcune aree del contenzioso che vedono un crescente intervento dei litigation funder ossia le azioni per il risarcimento di danni derivanti da violazioni antitrust, azioni collettive e i contenziosi seriali. Si tratta di ambiti caratterizzati da elevata complessità tecnica e rilevanti oneri economici, in cui il supporto di capitali esterni può incidere in modo significativo sull’accesso alla giustizia.

In conclusione, l’autrice della sezione dedicata all’Italia ritiene che l’assenza di una disciplina organica, unita alla mancata trasparenza in merito alla presenza del funder nei procedimenti, ha rappresentato un fattore limitante per la diffusione del litigation funding in Italia. Tuttavia, è condivisibile la conclusione secondo cui l’incremento della domanda di risorse economiche per sostenere contenziosi altamente complessi, l’impiego di strumenti digitali per la gestione delle azioni collettive e l’evoluzione del quadro normativo a livello europeo contribuiranno in maniera determinante al rafforzamento e alla progressiva affermazione del litigation funding anche nel contesto italiano.

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*Giacomo Lorenzo, Head of Italy e Senior Legal Counsel presso Deminor Litigation Funding

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