Civile

Locazioni commerciali, sì alla richiesta di pagamento in un’unica soluzione dopo anni di inerzia

Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 11219 depositata oggi, respingendo il ricorso del titolare di una Srl che sosteneva l’abuso del diritto per violazione del principio di buona fede

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di Francesco Machina Grifeo

Nelle locazioni commerciali, l’aver richiesto tutto in una volta, dopo oltre 4 anni di inerzia, il pagamento dei canoni di locazione arretrati (52 mesi) non fa scattare l’abuso di diritto previsto per le ipotesi di violazione della buona fede. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 11219 depositata oggi, respingendo il ricorso del titolare di una srl.

Nel 2021, il Tribunale di Trento, accertato il mancato pagamento da febbraio 2015 al marzo 2020 (rigettata l’eccezione di compensazione proposta dal conduttore per il controcredito per forniture di materiale lapideo) lo condannò a pagare alla locatrice la somma di oltre 125.000 euro, pari al complessivo debito maturato. Proposto ricorso la Corte di appello ha confermato la decisione affermando che l’inerzia della proprietaria-locatrice, quantunque non comune, trovava tuttavia giustificazione nel pignoramento immobiliare subìto e nello stato di malattia di uno dei soci.

Contro questa decisione, il ricorrente ha proposto ricorso in Cassazione ribadendo che la società locatrice nel chiedere il pagamento di 52 canoni di locazione senza aver mai chiesto prima nulla, avrebbe violato i canoni di correttezza e buona fede, incorrendo in un abuso del diritto.

La Terza sezione civile, nel respingere il ricorso, dà atto dell’esistenza di una isolata pronuncia (Cass. 14/06/2021, n. 16743), citata dal ricorrente a sostegno del proprio motivo, la quale in tema però di locazione ad uso abitativo, aveva affermato che “integra abuso del diritto la condotta del locatore, il quale, dopo aver manifestato assoluta inerzia per un periodo di tempo assai considerevole in relazione alla durata del contratto, rispetto alla facoltà di escutere il conduttore per ottenerne il pagamento del canone dovutogli, così ingenerando nella controparte il ragionevole ed apprezzabile affidamento nella remissione del debito ’per facta concludentia’, formuli un’improvvisa richiesta di integrale pagamento del corrispettivo maturato”.

Si tratta tuttavia, prosegue la decisione, di una pronuncia riferita ad una fattispecie diversa. Inoltre, per la Cassazione l’abuso del diritto postula che l’inerzia del titolare “sia tale da ingenerare nella controparte il ragionevole ed apprezzabile affidamento nella remissione del debito per facta concludentia”; una circostanza quest’ultima non integrata nel caso concreto, “poiché la persistente sussistenza, sino al febbraio 2021, di un pignoramento immobiliare che limitava la legittimazione ad agire della proprietaria certamente non poteva ingenerare nel conduttore alcun affidamento sull’eventuale remissione del debito per canoni scaduti.”

Ma il principio non convince la Suprema corte anche per motivi più generali in quanto si tradurrebbe “in una incondizionata apertura all’operatività, nell’ordinamento italiano, di un istituto ad esso sconosciuto, consistente nella Verwirkung del diritto tedesco, quale consumazione del diritto collegato all’inattività (Rechtsverschweigung) del titolare, di cui il codice civile tedesco tradizionalmente fa applicazione, in particolare, in materia di perdita del “praemium inventionis” (§ 971), della provvigione del mediatore (§654) e del diritto al pagamento della clausola penale (§339)”.

Sebbene anche nell’ordinamento italiano vi siano degli esempi simili, per esempio nel diritto del lavoro (il ritardo del datore nel contestare la giusta causa di licenziamento o quello del prestatore di lavoro nella prosecuzione del rapporto) tuttavia nel nostro ordinamento non può darsi ingresso in via generale al principio della Verwirkung.

“La volontà tacita di rinunziare ad un diritto - precisa la Cassazione - si può desumere soltanto da un comportamento concludente del titolare che riveli la sua univoca volontà di non avvalersi del diritto stesso, laddove l’inerzia o il ritardo nell’esercizio del diritto non costituiscono elementi sufficienti, di per sé, a dedurne la volontà di rinuncia, potendo essere frutto di ignoranza, di temporaneo impedimento o di altra causa, e spiegano rilevanza soltanto ai fini della prescrizione estintiva”. “Pertanto - conclude -, il solo ritardo nell’esercizio del diritto, per quanto imputabile al titolare dello stesso e per quanto tale da far ragionevolmente ritenere al debitore che il diritto non sarà più esercitato, non può costituire motivo per negare la tutela giudiziaria dello stesso, salvo che tale ritardo sia la conseguenza fattuale di una inequivoca rinuncia tacita o di una modifica della disciplina contrattuale”.

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