Penale

Maltrattamenti in famiglia anche se la convivenza è cessata

La Corte di cassazione, sentenza n. 30129 depositata oggi, stabilisce "l'esatto confine" rispetto al reato di atti persecutori

di Francesco Machina Grifeo

Il più grave delitto di maltrattamenti in famiglia, rispetto a quello di atti persecutori, si estende anche alle ipotesi di cessata convivenza o divorzio purché permangano rapporti solidi e frequenti all'interno del nucleo familiare. La Corte di cassazione, sentenza n. 30129 depositata oggi, nel respingere il ricorso di un "ex" condannato per "maltrattamenti" nonostante la vita in comune fosse cessata ormai da molti anni traccia "l'esatto confine" tra i due reati.

Per la VI Sezione penale infatti deve essere affermato il principio di diritto secondo il quale: "le condotte vessatorie realizzate in caso di cessazione della convivenza con la vittima, sia nel caso di separazione legale o di divorzio, sia nel caso di interruzione della convivenza allorché si tratti di relazione di fatto, integrano il reato di maltrattamenti in famiglia e non anche quello di atti persecutori, allorché i vincoli di solidarietà derivanti dal precedente rapporto intercorso tra le parti non più conviventi, nascenti dal coniugio, dalla relazione more uxorio o dalla filiazione, permangano integri o comunque solidi ed abituali nonostante il venir meno della convivenza".

Confermata dunque la condanna comminata in Appello ad un "ex" che invece lamentava il vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale ravvisato la sussistenza dei delitto di maltrattamenti nell'intero arco temporale "dal 1991 sino alla primavera del 2015, sebbene la convivenza more uxorio fra l'imputato e la presunta persona offesa sia cessata nel 2008, dovendo pertanto ravvisarsi, a partire da tale anno, il delitto di atti persecutori".

II reato di maltrattamenti, spiega la Corte, è un reato contro la famiglia (segnatamente contro l'assistenza familiare) ed il bene giuridico protetto è costituito dai congiunti interessi dello Stato alla tutela della famiglia da comportamenti vessatori e violenti e dell'interesse delle persone alla difesa della propria incolumità fisica e psichica. L'ambito applicativo dell'incriminazione pertanto dipende dall'estensione di rapporti basati sui vincoli familiari, "intendendosi per famiglia ogni gruppo di persone tra le quali, per le strette relazioni e consuetudini di vita, si siano instaurati rapporti di assistenza e solidarietà reciproche, senza la necessità della convivenza o di una stabile coabitazione".

Al di là della lettera della norma incriminatrice («chiunque») il reato di maltrattamenti familiari dunque è un reato proprio, potendo essere commesso soltanto da chi ricopra un "ruolo" nel contesto della famiglia (coniuge, genitore, figlio) o una posizione di "autorità" o peculiare "affidamento" nelle aggregazioni comunitarie assimilate alla famiglia dall'articolo 572 cod. pen. (organismi di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, professione o arte), in danno di un soggetto che faccia parte di tali aggregazioni familiari o assimilate.

Il reato di atti persecutori è invece un reato contro la persona, e in particolare contro la libertà morale, che può essere commesso da chiunque con atti di minaccia o molestia "reiterati" (integrando appunto un reato abituale) e che non presuppone l'esistenza di relazioni interpersonali specifiche.

Tirando le fila delle considerazioni che precedono, "il delitto di maltrattamenti in famiglia – scrive la Suprema corte - può essere ravvisato in tutti i casi in cui, nonostante l'interruzione della relazione di convivenza, eventualmente anche attestata da un provvedimento formale di separazione legale o di divorzio, residuino comunque dei rapporti di stabile frequentazione e di solidarietà determinati dalla pregressa esistenza del rapporto familiare, soprattutto allorchè dovuti alle comuni esigenze di accudimento e di educazione dei figli, atteso che in tale caso può ancora parlarsi di fatti commessi nel contesto di una relazione familiare".

È di contro ravvisabile il delitto di atti persecutori aggravato allorchè la relazione qualificata o di fatto e la convivenza sussistenti in passato siano ormai cessate e i rapporti tra gli ex coniugi o conviventi o partner siano definitivamente interrotti, sì da non potersi parlare - né in senso tecnico e formale, né in senso atecnico ed informale — di "famiglia".

E il giudice di merito, conclude la decisione, ha fatto "ineccepibile" applicazione di tali principi, là dove ha dato conto del fatto che il ricorrente ha posto in essere le condotte aggressive e violente in danno della ex convivente more uxorio, in una situazione nella quale il vincolo familiare ed affettivo con la persona non era cessato, persistendo anzi un'intensa relazione conseguente dagli obblighi derivanti dall'esercizio congiunto della potestà genitoriale verso le loro figlie (tanto che il ricorrente aveva tenuto le chiavi di casa e frequentava ogni giorno l'alloggio per vedere le figlie), persistenza del legame "familiare" con la ex convivente attestato, anche, dalla circostanza - non irragionevolmente valorizzata dalla Corte distrettuale - che l'imputato e la vittima continuassero ad avere rapporti sessuali.

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