Penale

Maltrattamenti al padre che sottopone la figlia a controlli per sapere se è vergine

Per la Cassazione, il regime afflittivo, non adeguato alle necessità e alla personalità della figlia adolescente, non ha nulla a che vedere con la "naturale ansia genitoriale"

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di Marina Crisafi *


Va condannato per maltrattamenti il padre che umilia la figlia adolescente facendole fare controlli per sapere se è vergine o si droga, costringendola ad un regime afflittivo non adeguato alle sue necessità o personalità, che nulla ha a che vedere con la "naturale ansia genitoriale". Lo ha affermato la sesta sezione penale della Cassazione (con la sentenza n. 7511/2021).

La vicenda

Nella vicenda, l'uomo veniva dichiarato colpevole in appello del reato di maltrattamenti, nei confronti della figlia minorenne all'epoca dei fatti, per una serie di comportamenti vessatori adottati, tra cui un'analisi casalinga delle urine per la rilevazione di sostanze stupefacenti e una visita ginecologica per accertarne la verginità.
La corte territoriale riteneva consistenti e attendibili le dichiarazioni rese dalla persona offesa sulle vessazioni subite. La diffusa e articolata narrazione delle vicende appariva infatti sincera e non mossa da astio o rancore, anzi legata da affetto e ammirazione per la figura paterna, e tutto era efficacemente riscontrato nella certificazione medica e nelle deposizioni testimoniali (tra cui quelle dell'insegnante e del ginecologo).
La ragazza peraltro non aveva mai cercato di nascondere l'uso di sostanze stupefacenti, mentre l'uomo non si era confrontato con i soggetti preposti istituzionalmente a tali problematiche, pretendendo soltanto che la figlia fosse sottoposta a un regime palesemente afflittivo senza porsi il problema se tale approccio fosse quello meglio rispondente alle necessità e alla personalità dell'adolescente.
A segnare il punto di non ritorno, di una situazione non più tollerabile, però, sono due episodi in particolare: l'analisi casalinga delle urine per la rilevazione di metaboliti di sostanze stupefacenti e la visita ginecologica per accertarne la verginità, per non parlare delle ripetute percosse subite dalla ragazzina.
Il padre non si rassegna e invoca l'intervento del Palazzaccio dolendosi tra l'altro dell'erronea applicazione della fattispecie prevista dall'art. 572 c.p. anziché di quella del meno grave reato ex art. 571 c.p.
Ma gli Ermellini concordano con la corte territoriale e ritengono il ricorso manifestamente infondato.

La violenza non è mai educativa

Le ripetute condotte vessatorie nei confronti della figlia minore da parte dell'imputato superano il limite di un normale seppur rigoroso metodo educativo e, ribadiscono dalla S.C., "l'uso sistematico della violenza, quale ordinario trattamento del minore, anche se sostenuto da animus corrigendi, non può rientrare nell'ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi dl più grave delitto di maltrattamenti (cfr. tra le altre Cass. n. 11956/2017).
La corte territoriale ha fatto buon governo di tale principio sottolineando che le metodiche utilizzate, per la loro pervasività e per le conseguenze indotte in termini di sofferenza morale, esulavano dal contesto educativo e correzionale.
L'umiliazione e la svalutazione della personalità, nel sottoporre la ragazza alla visita ginecologica per vedere se era vergine e la richiesta di orinare in presenza del padre per effettuare il test tossicologico, oltre che il controllo e l'isolamento reclamati durante la ricreazione a scuola, non avevano alcuna connotazione educativa ma si risolvevano in angherie e immotivate vessazioni.
Per cui, sentenziano da piazza Cavour, nulla da fare per il padre: è corretto l'inquadramento della fattispecie nell'art. 572 c.p. aggravato ai sensi dell'art. 61 n. 11 quinquies, non rilevando le eventuali finalità rieducative asseritamente perseguite.

a cura di di Marina Crisafi *

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