Civile

Medici, no a ristori statali per specializzazioni di cui non è stata provata l’equipollenza di fatto

Il tardivo recepimento italiano delle norme comunitarie non consente il ristoro per la mancata retribuzione di formazioni non elencate dalle direttive del 1975 e del 1982, ma poi esplicitamente contemplate nel Dm 30 ottobre 1991

 

di Paola Rossi

Non hanno diritto a ottenere dallo Stato italiano il risarcimento del danno - per tardiva attuazione delle direttive comunitarie - i medici che hanno iniziato prima del 1991 una specializzazione non contemplata dalle norme comunitarie non recepite nei tempi dovuti. Inoltre non scatta il diritto al ristoro della mancata retribuzione se non si trattava di specializzazioni contemplate dalle direttive o di specializzazioni di cui non era stata dimostrata l’”equipollenza di fatto”. Si tratta infatti di specifica allegazione che non può mancare nella domanda attoreea di risarcimento del danno. Quindi non ha alcuna rilevanza che la specializzazione conseguita sia stata, in seguito, inclusa tra quelle qualificate “conformi alle norme delle Comunità economiche europee” dal Dm 31 ottobre 1991 adottato per conformare in ritardo l’ordinamento italiano nella specifica materia.

Con la sentenza n. 26603/2024 le sezioni Unite civili della Cassazione hanno chiarito alcuni aspetti della lunghissima diatriba tra specializzandi in Italia e la Presidenza del Consiglio dei ministri quale soggetto legittimato passivo delle innumerevoli controversie instauratesi.

Le sezioni Unite hanno già affermato che il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva comunitaria n. 82/76/Cee spetta anche a quanti si sono iscritti a corsi di specializzazione negli anni accademici anteriori al 1982-1983. Ma il danno è riconosciuto solo per il periodo di tempo intercorso tra il 1° gennaio 1983 - data di scadenza dell’adempimento statale - e la conclusione della scuola di specializzazione.

La Cassazione in sede nomofillattica ha stabilito in primis che è rilevabile d’ufficio da parte del giudice civile l’eccezione di “non equipollenza” tra la specializzazione conseguita, e quelle previste dal diritto comunitario ai fini del reciproco riconoscimento tra Stati membri. Ciò in base al principio generale processuale secondo cui sono rilevabili d’ufficio tutte le eccezioni che la legge non riservi espressamente all’iniziativa di parte: l’esame della questione rilevabile d’ufficio non è precluso dalla non contestazione da parte della difesa statale.

Quindi l’eccezione di “equipollenza” tra il diploma di specializzazione conseguito in Italia dagli odierni ricorrenti, e quelli previsti da almeno due Stati dell’Unione europea è rilevabile dal giudice di merito. Come spiega la Cassazione, tale eccezione riguarda infatti un “fatto estintivo della pretesa attorea”, ossia la mancanza di nesso causale tra inadempimento dello Stato e danno lamentato: in quanto in mancanza della prova di equipollenza viene meno la rilevanza del tardivo adempimento della direttiva del 1982. In particolare perché anche se vi fosse stato un tempestivo recepimento della direttiva, lo Stato non era però obbligato a prevedere adeguata remunerazione anche per scuole di specializzazione prescelte dai ricorrenti. E non rileva l’eventuale successivo inserimento in quelle elencate dal decreto del 1991.

Il quesito sulla decorrenza
La Cassazione risolve fondamentalmente il quesito sul fatto se sia legittima la richiesta di risarcimento del danno da tardiva attuazione delle direttive comunitarie da parte di coloro che prima del 1991 abbiano conseguito una specializzazione non corrispondente nominalmente a quelle previste dalle due direttive del 1975, e che però siano state successivamente dichiarate equivalenti dal Dm del 1991. La risposta contiene un’interpretazione di fatto negativa.

La Cassazione distingue due casi:
a) la domanda di risarcimento del danno per tardiva attuazione delle direttive comunitarie fondata sull’assunto della equipollenza di fatto tra la specializzazione conseguita e quelle previste dalle norme comunitarie,
b) domanda di chi invochi il medesimo risarcimento sostenendo la retroattività del decreto ministeriale del 31 ottobre 1991.
Si tratta, infatti, di domande che si fondano su un fatto costitutivo diverso.

I giudici di legittimità escludono “il diritto ad essere risarcito del danno sofferto a causa della tardiva attuazione della direttiva 75/363 e successive integrazioni per colui che si sia iscritto prima del 1991 a un corso di specializzazione non incluso tra quelli di cui agli articoli 5 e 7 dalla suddetta Direttiva, ma in seguito dichiarato ad essi equipollente con atto normativo di diritto interno” ossia il decreto ministeriale invocato. E affermano che ciò non contrasta con l’ordinamento comunitario. Infatti, la normativa comunitaria non imponeva la previsione di armonizzare i corsi di specializzazione, ma di consentire un giudizio di equipollenza dei titoli conseguiti in altri Stati in modo da realizzare la dovuta circolazione all’interno del territorio della Comunità europea.

In conclusione, l’avere conseguito una specializzazione in una materia non inclusa negli articoli citati della direttiva applicabile non esclude il diritto al risarcimento e non l’ha mai escluso: semplicemente la domanda presuppone l’asserita equipollenza de facto, ossia la prova addossata all’attore come fatto costitutivo della sua pretesa al risarcimento.

La conclusione
Per la Cassazione è appunto rilevante la prova dell’equipollenza con formazioni previste in Italia per quei ricorrenti che rivendicavano il diritto a essere risarciti per la mancata retribuzione in relazione allo svolgimento di specializzazioni non contemplate dalle direttive del 1975 e da quella di aggiornamento del 1982. Anche nel caso in cui le stesse siano state, in seguito, incluse tra quelle qualificate “conformi alle norme delle Comunità economiche europee” dal decreto italiano del 1991.

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