Medici: il rilascio di un certificato legato alla condizione psicosomatica di un minore in assenza di esami è illecito disciplinare
Presente nella sentenza 25946/2020 una interessante ricostruzione della fattispecie legate alle dichiarazioni di questi professionisti
Integra violazione dell’articolo 24 del Codice deontologico il rilascio, da parte di un medico, alla madre di un minore [che poi le ha utilizzate in una lite giudiziaria contro il marito, padre del minore stesso] di due dichiarazioni afferenti la condizione psicosomatica di quel minore, in relazione ai rapporti con i genitori, senza avere effettuato le dovute indagini diagnostiche e senza che rilevi - in senso contrario - la circostanza che le stesse non integrassero, in senso letterale, un certificato, formalmente inteso, con la conseguente pubblica fidefacenza. Lo hanno affermato i giudici della seconda sezione della Cassazione con la sentenza 16 novembre 2020 n. 25946 (presidente Manna; relatore Gorjan).
Il compartamento del medico e le violazioni del codice deontologico
La decisione in esame è molto utile in quanto la Cassazione fornisce un catalogo interessante delle violazione commesse dai medici al codice deontologico. In tal senso, analogamente, ricordata in motivazione, nella pronunzia in rassegna, costituisce violazione di un dovere deontologico la condotta del medico che rilasci un'attestazione relativa alle dichiarazioni del paziente in ordine al proprio stato di salute nei giorni precedenti, al fine di giustificare l'assenza dal lavoro, poiché tale attestazione, pur essendo priva di contenuto certificativo, si presta ad ingenerare il dubbio che l'assenza sia giustificata da una malattia accertata, in quanto proviene da un medico ed è redatta sul modulario previsto per la certificazione di malattia rispetto all'assenza dal lavoro, ponendosi in violazione del dovere del sanitario, imposto dal codice deontologico e dalla disciplina delle convenzioni tra Ssn e medici di famiglia, di procedere con scrupolo e diligenza nella redazione dei certificati, e, perciò, di attestare patologie riscontrate, al fine di scongiurare comportamenti illeciti, Cassazione, sentenza 9 marzo 2012, n. 3705, in “Guida al Diritto”, 2012, f. 14, p. 92, con nota di Bosco A. e di Pompei A., No al certificato di malattia senza accertamento del medico.
Per qualche riferimento, per la precisazione che il certificato medico rilasciato dall'Inail non è atto fidefaciente nei sensi contemplati dall'articolo 2700 del Cc ed è legittimo il licenziamento intimato a un lavoratore per aver lavorato, durante un periodo di assenza per infortunio sul lavoro, presso l'esercizio commerciale della moglie, Cassazione, sentenza 1° agosto 2017, n. 19089, in RIv. giur. lav., 2018, II, p. 17.
Le indicazioni della giurisprudenza penale
In termini generali, per la giurisprudenza penale, nel senso che in tema di reati di falso, dalla categoria degli atti pubblici - cioè di quegli atti provenienti da coloro ai quali la legge attribuisce pubbliche funzioni, redatti nell'esercizio di tali attribuzioni e destinati, sin dall'origine, a far prova nei rapporti giuridici - vanno distinti i certificati e le autorizzazioni amministrative, per i quali il legislatore ha previsto, in caso di falsificazione, autonome figure di reato; in particolare, i certificati sono atti che, pur provenendo da pubblici funzionari e pur essendo destinati anch'essi alla prova, o hanno natura di documenti «secondari» o «derivati», perché contengono dichiarazioni di scienza (cioè l'attestazione di fatti e dati che sono noti al pubblico ufficiale in quanto provengono da altri documenti ufficiali o dalle sue conoscenze tecniche), ovvero implicano giudizi e valutazioni che, come tali, non possono essere oggetto di documentazione fidefaciente; le autorizzazioni amministrative, invece, sono atti che documentano quei negozi di diritto pubblico i quali rimuovono, temporaneamente o permanentemente, i limiti imposti dalla legge all'esercizio di un diritto soggettivo o a determinate attività dei singoli, Cassazione penale, sentenza 18 gennaio 1995, relativa a certificato rilasciato da medico convenzionato con USL, riconosciuto titolare di pubbliche funzioni nell'ambito del servizio sanitario nazionale, sia pure in virtù di negozio di natura privatistica, e ove la precisazione che tale certificato riveste qualità di atto pubblico per quelle parti concernenti la provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato e le attestazioni relative all'attività svolta - visita medica - nonché ai fatti avvenuti in sua presenza - presentazione del paziente - o da lui rilevati - eventuali sintomi - ma non anche per la parte relativa al giudizio diagnostico e prognostico, che ha natura di certificato, sia perché è basato sulle conoscenze scientifiche del pubblico ufficiale, sia perché costituisce una valutazione dei fatti accertati, insuscettibile di documentazione fidefaciente (alla stregua di queste considerazioni, la suprema corte ha ritenuto che l'eventuale falsità della diagnosi medica è sussumibile nella figura di reato di cui all'art. 480 Cp e non in quella di cui all'art. 479 stesso codice).
Sempre nella giurisprudenza penale si è precisato, altresì:
- integra il reato di falso ideologico in atto pubblico con carattere fidefaciente e non quello di falso in certificato, la condotta del sanitario che, senza avere proceduto ad alcuna verifica sulle condizioni di salute di una persona, attesti l'esistenza o la permanenza di una patologia in realtà inesistente, Cassazione penale, 20 maggio 2019, n. 33498;
- qualora venga dedotta la falsità di un atto fidefacente (nella specie, un certificato medico), rilevante nel giudizio quale prova, il giudice penale deve verificare la fondatezza della questione e decidere su di essa in via incidentale nell'ambito del procedimento stesso; ne consegue che tale decisione non determina alcun effetto preclusivo da giudicato al fine di non pregiudicare l'accertamento eventuale di responsabilità per il delitto di falso, Cassazione penale, sentenza 22 marzo 2018, n. 26026;
- la diagnosi riportata nel referto medico ha natura di fede privilegiata, essendo preordinata alla certificazione di una situazione caduta nella sfera conoscitiva del pubblico ufficiale, che assume anche un rilievo giuridico esterno alla mera indicazione sanitaria o terapeutica; integra, pertanto, il reato di falso materiale in atto pubblico di cui all'art. 476 c.p. la condotta del medico che abbia alterato un certificato medico mediante l'aggiunta di una annotazione, ancorché vera, in un contesto cronologico successivo e, pertanto, diverso da quello reale, a nulla rilevando che il soggetto agisca per ristabilire la verità effettuale, in quanto la certificazione medica del pronto soccorso acquista carattere definitivo in relazione ad ogni singola annotazione ed esce dalla sfera di disponibilità del suo autore nel momento stesso in cui la singola annotazione viene registrata, Cassazione penale, sentenza 15 settembre 2015, n. 44874, in Riv. it. medicina legale, 2016, p. 367;
- il c.d. «libretto universitario», quale previsto dal regio decreto 4 giugno 1938 n. 1269, ha natura di atto pubblico fidefacente quanto alle attestazioni in esso contenute relative alla frequenza dello studente alle lezioni, ed ha natura di certificato quanto alle attestazioni relative all'avvenuto superamento degli esami, atteso il carattere derivativo delle medesime rispetto ai verbali di esame, che costituiscono gli atti pubblici originali; bene deve quindi ritenersi configurata l'ipotesi di reato di cui all'art. 480 c.p. nel caso in cui si riscontri la falsità dell'attestazione, in detto libretto, dell'avvenuto superamento di esami; falsità neppure qualificabile, peraltro, come innocua, stante l'idoneità del documento nel quale essa è contenuta ad ingannare la fede pubblica facendo apparire come vero un fatto che vero non è, Cassazione penale, sentenza 28 maggio 2014, n. 44022, in Riv. pen., 2014, p. 1120;
- integra il delitto di falsità ideologica commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico fidefacente, la condotta del medico ospedaliero che rediga un certificato con false attestazioni, in quanto ciò che caratterizza l'atto pubblico fidefacente, anche in virtù del disposto di cui all'art. 2699 Cc è - oltre all'attestazione di fatti appartenenti all'attività del pubblico ufficiale o caduti sotto la sua percezione - la circostanza che esso sia destinato ab initio alla prova e cioè precostituito a garanzie della pubblica fede e redatto da un pubblico ufficiale autorizzato, nell'esercizio di una speciale funzione certificatrice; ne deriva che la diagnosi riportata nel certificato ha natura di fede privilegiata, essendo preordinata alla certificazione di una situazione - caduta nella sfera conoscitiva del pubblico ufficiale - che assume anche un rilievo giuridico esterno alla mera indicazione sanitaria o terapeutica, Cassazione penale, sentenze 13 febbraio 2014, n. 12213 (fattispecie di referto attestante traumi da falsi sinistri stradali per consentire lucro a danno delle compagnie assicuratrici) e 16 gennaio 2007 (resa in una fattispecie in cui il medico aveva aggiunto al testo originario l'ulteriore attestazione della rottura dei denti incisivi dell'arcata superiore del paziente per consentirgli un maggiore ristoro).