Penale

Messa alla prova e Sistema 231

La pronuncia (G.I.P. Modenza, sent. n. 19/10/2020) in commento, offre interessanti spunti di riflessione in merito all'ambito applicativo dell'istituto della messa alla prova ex art. 168-bis c.p. nei confronti delle persone giuridiche

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di Mattia Miglio, Alessia Zecchetti

Entrando nello specifico, la difesa di una S.p.A. chiamata a rispondere ex art. 25 bis 1 D.Lgs. 231/2001 (all'imputato persona fisica era contestata la violazione dell'art. 515 c.p.) chiedeva al G.I.P. di Modena che il procedimento fosse sospeso per un periodo di tempo corrispondente allo svolgimento di un programma di trattamento che prevedeva, in capo all'ente, l'esecuzione del lavoro di pubblica utilità; parimenti, anche l'imputato persona fisica presentava istanza per l'applicazione dell'istituto ex art. 168 bis c.p.
Nell'accogliere le richieste dei entrambi gli imputati, il G.I.P. disponeva, in prima battuta, ex art. 464-quater c.p.p. la sospensione del procedimento per la messa alla prova, per poi dichiarare non doversi procedere nei confronti dell'ente - oltre che della persona fisica - per intervenuta estinzione dell'illecito amministrativo (del reato presupposto per l'altro imputato) per esito positivo della messa alla prova.

Orbene, tale pronuncia si pone in netto contrasto con la precedente giurisprudenza di merito del Tribunale di Milano (Dott.Corbetta) che con ordinanza del 27 marzo 2017 aveva nettamente escluso che l'istituto della sospensione della messa alla prova potesse estendersi in via analogica nei confronti delle persona giuridiche.

Come noto, la decisione del Tribunale lombardo prendeva le mosse da una breve disamina sulla natura ibrida della messa alla prova, la quale racchiudeva in sé sia profili di diritto processuale che aspetti più sostanziali. In particolare nell'ordinanza lombarda si definiva la messa alla prova come "procedimento speciale alternativo al giudizio" (p. 2) e "realizza una rinuncia statuale alla potestà punitiva condizionata al buon esito di un periodo di prova controllata e assistita" (p. 2), mentre la natura sostanziale "persegue scopi socialpreventivi in una fase anticipata, in cui viene "infranta" la sequenza cognizione-esecuzione della pena in funzione del raggiungimento della risocializzazione del soggetto" (p. 2). Ciò posto dunque il Tribunale milanese aveva in definitiva escluso ogni possibile estensione analogica dell'istituto nel sistema 231, in ossequio al principio di legalità ex art. 25, comma 2 Cost. ("mentre il principio della riserva di legge può, a certe precise e limitate condizioni, essere relativo quanto alla descrizione del precetto, esso ha carattere assoluto quanto all'individuazione della pena", cfr. p. 2), oltre a richiamare l'insegnamento della giurisprudenza costituzionale (Corte Cost., 230/2012), in forza del quale il potere di normazione di materia penalistica - in quanto incidente sui diritti fondamentali dell'individuo e, in particolare, sulla sua libertà personale - è riservato all'organo legislativo e alle fonti primarie.

La pronuncia del Tribunale modenese, qui in commento, pur riconoscendo che ad oggi sussiste un vuoto normativo nel sistema 231 in riferimento all'istituto della messa alla prova, fa leva sugli artt. 34 e 35 del dlgs 231/01 i quali stabiliscono il rinvio, per quanto non contenuto nel testo del 2001, alle norme del codice di rito penale.

L'attuale assetto normativo contiene altresì alcune disposizioni che sembrano conciliarsi con le finalità deflattive e premiali che però sono assolutamente compatibili con l'istituto della messa alla prova a favore dell'ente che si sia ravveduto nel corso del procedimento penale.

Si pensi, a titolo di esempio, all'art. 12, comma 2 - secondo cui la sanzione e' ridotta da un terzo alla meta' se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado:

a) l'ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si e' comunque efficacemente adoperato in tal senso;

b) e' stato adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi - o all'art. 17, in forza del quale, le sanzioni interdittive non si applicano quando, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, l'ente ha provveduto alla riparazione delle conseguenze dell'illecito.

O ancora all'art. 49 - secondo cui non trovano applicazione nei confronti dell'ente le misure cautelari nell'ipotesi in cui la persona giuridica chieda di poter realizzare gli adempimenti ex art. 17 - oppure, all'art. 65 - in forza del quale, prima dell'apertura del dibattimento, il giudice può disporre la sospensione del processo se l'ente chiede di provvedere alle attivita' di cui all'articolo 17 e dimostra di essere stato nell'impossibilità di effettuarle prima - o anche all'art 78, il quale consente all'ente che ha posto in essere tardivamente le condotte di cui all'articolo 17, entro venti giorni dalla notifica dell'estratto della sentenza, di poter richiedere la conversione della sanzione amministrativa interdittiva in sanzione pecuniaria.

Ora, alla luce di quanto esposto, la disciplina 231 sembra delineare un sistema volto non tanto a punire le Società, quanto, piuttosto, a ricondurre le persone giuridiche, ove possibile, a una corretta gestione dei propri rischi mediante la realizzazione di condotte riparatorie orientate verso un corretto sistema di governance. Questa finalità "rieducativa" e premiale non pare pertanto incompatibile con l'istituto della messa alla prova, così come delineato dagli artt. 168 bis ss. c.p. e 464 bis e ss c.p.p.

Come noto, l'art. 168 bis c.p. infatti richiede e comporta - in aggiunta alla duplice condizione per cui il richiedente non abbia in precedenza usufruito dell'istituto della messa alla prova e del pari non si trovi nelle condizioni di cui agli artt. 102, 103,104, 105, 108 c.p.- l'eliminazione delle condotte dannose e pericolose derivanti dall'illecito, il risarcimento (ove possibile) del danno e l'esecuzione di lavori di pubblica utilità. Condizioni queste che, è evidente, mostrano più di un'affinità con gli adempimenti riparatori ex art. 17 D.Lgs. 231/2001, poco sopra menzionati.

Ne consegue così che, ove trovasse accoglimento l'orientamento inaugurato dalla sentenza in esame, la persona giuridica imputata (o anche indagata, dal momento che l'istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova può essere presentata anche durante le indagini preliminari ex art. 464 ter c.p.p) potrà chiedere la sospensione del procedimento e la concessione della messa alla prova, che verrà eseguita secondo il programma sancito dall'UEPE - ex arg. art. 464 bis comma 4 c.p.p. - nel quale dovranno essere previsti:

a) dall'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose e dal risarcimento del danno;

b) dall'integrazione/aggiornamento del modello di organizzazione e gestione;

c) dall'esecuzione di lavori di pubblica utilità.

Quanto al requisito c), esso dovrà necessariamente essere adeguato alla configurazione della persona giuridica e potrà, a titolo meramente esemplificativo, consistere - non necessariamente in via alternativa - nella frequentazione e/o predisposizione di corsi di formazione oppure nella destinazione di parte delle attività produttive a sostegno di enti e associazioni operanti nel sociale oppure ancora nella destinazione di parte della produzione per finalità sociali. Senza contare poi che anche la relazione finale dell'UEPE dovrà subire un percorso di adattamento che tenga necessariamente conto della differenza che intercorre tra la struttura dell'ente e le persone fisiche.

Ne consegue così che quanto qui esposto evidenzia ancora di più la necessità di un adeguamento della disciplina ora in vigore, alle peculiarità che contraddistinguono gli enti (se del caso, anche integrando l'attuale art. 8 D. Lgs. 231/2001), così da colmare (non solo in via ermeneutica) le attuali lacune normative.

Sennonché, e qui si va a concludere, tale adeguamento pare essere un'esigenza ancor più necessaria alla luce dell'attuale contesto normativo contraddistinto dalla centrale prerogativa di gestire il rischio d'impresa in un'ottica di conservazione e risanamento del patrimonio, con l'evidente scopo di evitare, ove possibile, di espungere dal contesto economico imprese tuttavia sane.

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