Penale

Messa alla prova, valutate adeguatezza del risarcimento e condizioni economiche dell'imputato

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di Giuseppe Amato

La sospensione del procedimento con messa alla prova prevede che questa comporti, «ove possibile», il risarcimento del danno, in tal modo escludendo che ex se vi sia necessaria subordinazione della messa alla prova all'integrale risarcimento del danno, onde, laddove si voglia pervenire al rigetto dell'istanza, è necessario che il giudice faccia precedere la sua decisione dalla richiesta di informazioni in relazione alle condizioni economiche dell'istante. L o chiarisce la Cassazione con la sentenza 3179/2020.

Nella fattispecie in cui la messa alla prova era stata chiesta in relazione al reato di cui all'articolo 5 del decreto legislativo n. 74 del 2000, il giudice l'aveva rigettata per essere mancato l'integrale pagamento del debito tributario: la Corte ha ritenuto il diniego immotivato proprio per essere mancato una adeguato approfondimento sulle condizioni economiche dell'istante, che risultava, tra l'altro, essere stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

Di recente, in ordine all'apprezzamento del giudice sull'adeguatezza del programma e del risarcimento del danno, si è affermato che, dalla disciplina della sospensione del procedimento con messa alla prova, ed in particolare dall'articolo 464-quater del Cpp, si desume che il giudizio formulato in merito alla adeguatezza del programma presentato dall'imputato ai fini della sospensione del processo a suo carico va operato, discrezionalmente, sulla scorta degli elementi di valutazione evocati dall'articolo 133 del codice penale potendo inoltre il giudice procedere agli accertamenti ritenuti necessari o opportuni ai fini della sua decisione. Ciò impone di ritenere che la valutazione del giudice debba investire la "adeguatezza" del programma presentato dall'imputato, che va intesa non soltanto nel senso della sua idoneità a favorire il suo reinserimento sociale, ma anche nel senso di verificarne la effettiva corrispondenza alle condizioni di vita del prevenuto: in altri termini, la "adeguatezza" del programma deve essere indagata anche sotto il profilo dell'essere esso espressione dell'«apprezzabilità dello sforzo» sostenuto dall'imputato per elidere le conseguenze dannose o pericolose del reato e risarcire il danno.

In quest'ottica, l'inciso «ove possibile», contenuto nel comma 2 dell'articolo 168-bis del Cp, deve essere letto nel senso che il risarcimento del danno deve corrispondere «ove possibile» al pregiudizio patrimoniale arrecato alla vittima sicché, ove esso non sia tale, deve comunque essere la espressione dello sforzo "massimo" pretendibile dall'imputato alla luce delle sue condizioni economiche che il giudice ha la possibilità di verificare con i propri poteri ufficiosi. Il giudice è quindi tenuto a valutare la "adeguatezza" del risarcimento del danno che non può non avere, quale parametro di riferimento, il pregiudizio patrimoniale arrecato alla vittima e, per contro, le effettive capacità patrimoniali dell'imputato.

A tal fine, il legislatore ha avuto appunto l'accortezza di predisporre dei poteri di indagine (specie) a fronte della manifesta "sproporzione" tra il danno patrimoniale cagionato e l'offerta risarcitoria, cui il giudice deve fare ricorso al fine di verificare l'"adeguatezza" del risarcimento quale effettiva e reale espressione di uno sforzo apprezzabile e concreto dell'imputato (si veda la Sezione II, 13 giugno 2019, Proc. Rep. Trib. Arezzo in proc. Nassini: nella specie, accogliendo il ricorso del pubblico ministero, la Corte ha annullato con rinvio l'ordinanza di accoglimento dell'istanza di sospensione in cui il tribunale si era limitato a recepire il programma proposto dall'imputato, dove questi aveva previsto una offerta risarcitoria pari a euro 30.000 a fronte di un pregiudizio patrimoniale complessivo - derivante dalle condotte plurime di appropriazione indebita aggravata in contestazione - di ammontare superiore ai 360.000 euro: secondo la Cassazione, per ritenere ammissibile e meritevole di accoglimento la richiesta, il giudice, piuttosto che attestarsi sulle dichiarazioni dell'imputato, avrebbe dovuto allora attivare i propri poteri di indagine proprio al fine di verificare la effettività delle condizioni economiche e patrimoniali dell'imputato e valutare, a quel punto, se quella somma fosse espressione del «massimo sforzo» pretendibile e, per questa ragione, apprezzabile).

Cassazione – Sezione III penale – Sentenza 27 gennaio 2020 n. 3179

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