Penale

Messaggi WhatsApp, modalità di acquisizione sulla utilizzabilità nell'ambito di un procedimento penale

Nota a sentenza n. 39529/2022

di Emilio Battaglia*

Con la sentenza n. 39529 del 1° luglio 2022, la Suprema Corte di Cassazione si è ri(espressa) sulle modalità di acquisizione e sulla utilizzabilità nell'ambito di un procedimento penale dei messaggi WhatsApp conservati nella memoria di un telefono cellulare.

Nel caso specifico, l'imputato aveva utilizzato la carta bancomat della persona offesa, senza esserne autorizzato e il Tribunale di Milano - anche sulla base di alcuni messaggi WhatsApp ritenuti utilizzabili, ai sensi dell'art. 493 ter cod. pen. - lo ha condannato per il reato di indebito utilizzo di strumenti di pagamento, con sentenza poi confermata anche dalla Corte d'Appello territoriale.

A seguito dell'impugnazione della sentenza della Corte d'Appello, la Suprema Corte di Cassazione ha confermato la condanna nei confronti dell'imputato, statuendo che i messaggi WhatsApp conservati nella memoria del telefono cellulare hanno natura di documenti e, in quanto tali, sono utilizzabili e acquisibili nell'ambito di un procedimento penale, mediante mera riproduzione fotografica, ai sensi dell'art. 234 cod. proc. pen., da ciò conseguendo che le relative modalità di acquisizione non soggiacciono né alle regole stabilite per l'acquisizione della corrispondenza di cui all'art. 254 cod. proc. pen., né tantomeno alla più rigorosa disciplina delle intercettazioni telefoniche.

Due sono gli aspetti evidenziati dalla Suprema Corte di Cassazione:

1. Il primo, che il testo di un messaggio fotografato dalla Polizia Giudiziaria sul display del dispositivo cellulare ha natura di documento, la cui corrispondenza all'originale è asseverata dalla qualifica dell'agente che effettua la riproduzione;

2. Il secondo, che l'utilizzabilità del contenuto dei messaggi WhatsApp scaricati sul computer della persona offesa, è strettamente derivante e conseguente dalla attendibilità delle dichiarazioni accusatorie rese dalla persona offesa.

Ne consegue che ai fini probatori - nell'ambito del procedimento penale - non è necessario estrarre i messaggi WhatsApp mediante la procedura della cd. copia forense, essendo sufficiente che la persona offesa:

1. faccia fotografare da un agente di Polizia Giudiziaria, il messaggio WhatsApp dal display del cellulare;

2. scarichi sul proprio personal computer i messaggi WhatsApp ricevuti.

Sul punto, tuttavia, appare opportuna una breve riflessione critica.

La riproduzione fotografica di un messaggio WhatsApp non consente di avere la certezza del mittente, del destinatario, né tantomeno del contenuto del messaggio. Pertanto, dovrebbe intervenire il Legislatore o attualizzando il concetto di corrispondenza di cui all'art. 254 cod. proc. pen., oppure prevedendo una specifica rigorosa disciplina, per evitare che, attraverso il "cavallo di Troia" dell'art. 234 cod. proc. pen., vi sia un ingresso indiscriminato e incontrollato di fotografie di messaggi WhatsApp con mittente, destinatario e contenuto di incerta provenienza.

* a cura dell'Avv. Emilio Battaglia, Partner Studio CMS

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