Penale

Misure cautelari: dall’8 maggio prossimo più “paletti” per il giudice

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di Renato Bricchetti e Luca Pistorelli

C’è chi ha parlato di «stop alle manette facili» e ci sembra di ricordare come non sia la prima volta che si rispolveri questo slogan. Stiamo parlando della legge 16 aprile 2015 n. 47, recante «Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali. Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di visita a persone affette da handicap in situazione di gravità», pubblicata sulla “Gazzetta Ufficiale” del 23 aprile 2015 n. 94.

Misure cauterlari personali: le finalità dell’intervento - Naturalmente, come sempre, questo dipenderà dalla sensibilità “interpretativa” dei giudici.

Nondimeno, la legge 16 aprile 2015 n. 47 interviene sulla carcerazione preventiva (oltre che sulle altre misure cautelari personali) con la manifesta intenzione di richiamare i protagonisti al rispetto dei canoni probatori e all’osservanza degli obblighi motivazionali delle decisioni e di ricordare ai medesimi che il carcere è - come si è soliti dire - la extrema ratio EL-1 .

L’intervento normativo investe numerosi temi:

a)esigenze cautelari e criteri di valutazione delle medesime;

b) criteri di scelta delle misure cautelari personali con particolare riguardo ai criteri di adeguatezza e proporzionalità rispetto al fatto e alla pena, nonché agli automatismi applicativi;

c) l’ampliamento dell’area applicativa delle misure interdittive, anche combinate con l’impiego di misure coercitive non carcerarie;

d) la ridefinizione dei termini del giudizio di riesame e dei poteri decisori di quel giudice, insieme col rafforzamento indiretto dell’obbligo motivazionale del provvedimento cautelare per gli aspetti più significativi.

La novella legislativa e i lavori della commissione Canzio - L’intervento normativo è per larga parte il frutto del lavoro della Commissione istituita il 10 giugno 2013, voluta dal precedente ministro della Giustizia e presieduta da Giovanni Canzio; lavoro sfociato, il 22 luglio e il 28 novembre 2013, in un più ampio ventaglio di proposte sulla disciplina del processo penale e animato, nella parte dedicata alle misure cautelari personali, dall’obiettivo di ridimensionare «l’area della restrizione della libertà personale, con speciale riguardo alla custodia cautelare in carcere, per ottemperare sia alle raccomandazioni del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, sia all’umiliante condanna della Corte Edu dell’8 gennaio 2013, Torreggiani contro Italia, e al conseguente, severo monito della Corte costituzionale (sentenza n. 279 del 2013), che ribadiscono la necessità e l’obbligo di “una riduzione al minimo del ricorso alla custodia cautelare in carcere”» (Canzio, Il processo penale: le riforme “possibili”, in Criminalia 2013, pagina 487). EL-2

Valutazione delle esigenze cautelari di cui all’articolo 274 del Cpp, lettere b) e c) (articoli 1 e 2 della legge 74/2015) - I primi interventi riguardano l’articolo 274 del Cpp che contiene le disposizioni sulle esigenze cautelari che legittimano l’adozione del carcere preventivo e delle altre misure personali.

Pericolo di reiterazione di determinati reati - Il pericolo di commissione di delitti («gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede»), previsto dalla lettera c), deve ora essere, oltre che concreto, «attuale» (articolo 2, comma 1, lettera a), della legge 47).

Il riferimento all’attualità del pericolo può apparire ridondante. Una inutile specificazione del requisito di “concretezza” che la norma già prevede.

Peraltro, ancora recentemente la giurisprudenza (cfr. Cassazione V, 15 maggio 2014 n. 24051. L. e altro, Rv 260143) ha avuto modo di affermare che, ai fini della valutazione del pericolo di consumazione di ulteriori reati della stessa specie, «il requisito della “concretezza” non si identifica con quello di “attualità” derivante dalla riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, dovendo, al contrario, essere riconosciuto alla sola condizione, necessaria e sufficiente, che esistano elementi “concreti” (cioè non meramente congetturali) sulla base dei quali possa affermarsi che l’imputato, verificandosi l’occasione, possa facilmente commettere reati che offendono lo stesso bene giuridico di quello per cui si procede».

La precisazione, dunque, oltre a essere uno dei simboli della ratio dell’intervento normativo, non è pleonastica e mette a fuoco un altro dei requisiti della motivazione dell’ordinanza applicativa della misura, contenitore trasparente del modo in cui il giudice applica lo standard probatorio definito dalla legge.

D’altra parte, più precise sono le regole di valutazione, più si attenua il rischio dell’abuso delle misure cautelari personali (in particolare il rischio che il giudice se ne serva come mezzo per raggiungere la prova o le consideri meritata anticipazione della pena) e la libertà diventa “sicura” (non “provvisoria” come un tempo ormai lontano, quando il legislatore non si nascondeva dietro le parole).

La sussistenza di detta situazione di pericolo va ancorata alle «specifiche modalità e circostanze del fatto» e alla «personalità» dell’indiziato, a sua volta da desumersi «da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali».

La novella ha inteso precisare che «le situazioni di concreto e attuale pericolo, anche in relazione alla personalità dell’imputato, non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del reato per cui si procede» (articolo 2, comma 1, lettera c), della legge n. 47).

Si vuole in tal modo evitare che la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza assorba di fatto la valutazione delle esigenze cautelari, in relazione alla quale occorre invece una motivazione autonoma e specifica, che tenga conto effettivamente delle circostanze del fatto e della personalità dell’indiziato.

Questo è uno dei punti sui quali si misurerà il “successo” della riforma.

L’esperienza insegna che, con riguardo alla congruità della motivazione in ordine alle esigenze cautelari e ai connessi profili di adeguatezza della misura prescelta, i provvedimenti de libertate lasciano spesso a desiderare.

Sono frequenti, invero, le prospettazioni che, da un lato, non fuoriescono da un sostanziale tautologico rinvio agli addebiti cautelari rivolti all’indagato, dall’altro, trascurano completamente di esaminare tutta una serie di significative circostanze favorevoli all’indagato, che il ricorrente deve sforzarsi di richiamare puntualmente.

Concretezza, attualità e grado delle esigenze cautelari, così come il criterio di adeguatezza, sono temi fondamentali in materia, che non possono essere soffocati in formule stereotipate e generiche ovvero in riferimenti neutri o di non accertata rilevanza.

Il problema vero, forse, è che il giudice si avvicina a questa esigenza cautelare come se essa riguardasse un presunto colpevole, non un presunto innocente che deve ancora avere un giusto processo. E questo spiega, tra l’altro, come sopra si diceva, perché, il più delle volte, l’esigenza cautelare di impedire la reiterazione dei reati viene in sostanza desunta dalla sussistenza di “gravi” indizi di colpevolezza di un fatto “grave”, dal quale si trae la probabilità che l’indagato sia pericoloso. In altre parole: chi ha commesso un fatto grave è pericoloso e può commetterne altri. Affermazione apodittica che mostra la sua arbitrarietà soprattutto quando, come sovente accade, dopo breve tempo, spesso pochi giorni, la misura cautelare viene revocata o attenuata.

La valutazione dell’elemento del pericolo di fuga - Disposizioni analoghe sono state inserite con riguardo all’esigenza cautelare di cui alla lettera b) (articolo 1, comma 1, della legge 47): anche il pericolo che l’indiziato fugga deve ora essere, oltre che concreto, «attuale», e «le situazioni di concreto e attuale pericolo non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del reato per cui si procede».

Tornando alle esigenze cautelari di cui alla lettera c), le misure custodiali (articoli 284-286 del Cpp), qualora il pericolo riguardi la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, possono essere disposte soltanto se per detti delitti sia prevista la reclusione non inferiore a 4 anni, 5 in caso in caso di custodia cautelare in carcere.

In uno degli ultimi passaggi, il legislatore ha aggiunto «il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all’art. 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195» (articolo 2, comma 1, lettera b), della legge 47); quindi anche per questo reato, nonostante il comma 3 dell’articolo 7 preveda la pena della reclusione da sei mesi a 4 anni, può essere disposta la custodia cautelare in carcere «qualora il pericolo riguardi la commissione di delitti della stessa specie».

Legge 16 aprile 2015, n. 47

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