Misure di prevenzione: la pericolosità sociale alle Sezioni unite
Per il via libera alla misura di prevenzione personale nei confronti di un soggetto indiziato di appartenere a un’associazione mafiosa serve una motivazione “rafforzata” sull’attualità della pericolosità sociale o si può dare per presunta? La Cassazione per sciogliere i dubbi sul punto ha chiesto l’intervento delle Sezioni unite (ordinanza 48441).
Oltre ai contrasti interpretativi a rendere opportuni i chiarimenti, c’è anche la sentenza De Tommaso, con la quale la Corte dei diritti dell’Uomo, il 27 febbraio scorso, ha condannato l’Italia per la vaghezza delle prescrizioni del «vivere onestamente» e «rispettare le leggi», imposte dal Codice antimafia con la misura di prevenzione della sorveglianza speciale. Rapido è stato sul punto il rimedio delle Sezioni unite (si veda il Sole 24 Ore del 6 settembre 2017) che hanno negato il rilevo penale dell’inosservanza delle due generiche previsioni.
Tuttavia quell’intervento non basta a fronte della necessità, segnalata dalla sentenza De Tommaso, di ancorare l’applicazione delle misure di prevenzione a principi di chiarezza e precisione.
Una certezza che manca in presenza di tesi discordanti. Il collegio remittente parte dal procedimento esaminato in cui ad un commercialista, indiziato di appartenere ad un’associazione mafiosa, era stata applicata la sorveglianza speciale (articoli 4 e 6 del Dlgs 159/2011, “codice antimafia”), in base alla cosiddetta pericolosità qualificata. Che è stata data per “scontata”, in virtù degli indizi di appartenenza pur senza una specifica condanna penale e malgrado i “precedenti” fossero risalenti nel tempo.
Il collegio remittente aderisce alla tesi secondo la quale, quando, come nella vicenda esaminata, non c’è un giudicato penale e gli indizi sono lontani nel tempo rispetto alla decisione di applicazione della misura, il giudice deve fornire una motivazione “in positivo” per giustificare la sua scelta.
La Cassazione ricorda però che in un consistente numero di pronunce, anche recenti, si è affermata la tesi opposta. In caso di emersione di indizi che rendono possibile inquadrare il soggetto nella categoria prevista dall’articolo 4 del codice antimafia, per l’applicazione dalla misura non servirebbe alcuna particolare motivazione in tema di attualità della pericolosità. Né sarebbe influente il fattore della distanza del tempo tra l’emersione degli indizi e il momento della decisione di limitare la libertà personale. Per i sostenitori di questa tesi esiste , infatti, una «presunzione relativa ex lege», che sarebbe onore del diretto interessato incrinare, dimostrando il suo recesso dal “clan” o la disintegrazione del sodalizio. Con una sostanziale inversione dell’onere delle prova.
Ora la parola passa alle Sezioni unite.
Corte di cassazione – Ordinanza 48441/2017