Lavoro

Mobilità, no al licenziamento di chi aderisce all'accordo sindacale sul demansionamento

Il patto sul riassorbimento dei lavoratori in mobilità costituisce un vincolo che impedisce recesso datoriale senza giustificazioni

di Paola Rossi

L'azienda non ha il potere unilaterale di disattendere l'accordo sindacale che, nell'ambito di una procedura di mobilità, prevede - ai fini di evitare il licenziamento - la possibilità per il lavoratore di essere demansionato. Così la Corte di cassazione, con la sentenza n. 701/2021, ha accolto il ricorso di un lavoratore che, nonostante richiesta espressa di passare dal proprio ruolo impiegatizio alla qualifica di operaio in base all'intervenuto accordo aziendale, era stato, invece, licenziato.

I giudici di merito hanno mancato, secondo quelli di legittimità, nell'attribuire il corretto significato giuridico all'accordo previsto dal comma 11 dell'articolo 4 della legge del 1991 sulla mobilità. L'azienda aveva, infatti, concluso con le rappresentanze sindacali un accordo che prevedeva il riassorbimento di lavoratori eccedenti tramite assegnazione a mansioni diverse da quelle svolte, anche inferiori. L'accordo vincola il datore che non potrà ignorare la disponibilità al ricollocamento in posizioni "più basse" per professionalità e retribuzione. La vincolatività dell'eventuale accordo che apre al demansionamento, ma al mantenimento del posto di lavoro, è dimostrata anche dalla circostanza che la dequalificazione del dipendente in un nuovo ruolo aziendale non deve essere oggetto di specifica trattativa e consenso della parte più debole, il lavoratore. Le regole concordate sono sufficienti al demansionamento del dipendente che ovviamente può scegliere di dimettersi per l'assenza di gradimento della nuova posizione che gli va però offerta e soprattutto su sua richiesta non gli può essere negata col silenzio dell'imprenditore.

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