Civile

Modifica delle condizioni di divorzio: i nuovi obblighi familiari non vanno trascurati

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di Giuseppe Buffone

Nello schema prefigurato dall'articolo 9 della legge n. 898 del 1970, la revisione delle condizioni stabilite dalla sentenza di divorzio non si configura come una mera presa d'atto della sopravvenienza di circostanze incidenti sul patrimonio o sul reddito di uno o di entrambi gli ex coniugi, ma rappresenta il risultato di una valutazione comparativa delle rispettive situazioni economico-patrimoniali, che, pur non essendo sovrapponibile a quella emergente dalla sentenza di divorzio, in quanto condizionata dall'intervenuto mutamento dello stato di fatto, presuppone anch'essa il raffronto tra le rispettive risorse patrimoniali e reddituali. Tale comparazione risulta infatti indispensabile alfine di stabilire se i mezzi di cui può disporre il richiedente siano divenuti insufficienti ad assicurargli la conservazione di un tenore di vita analogo a quello mantenuto in costanza del matrimonio, o che avrebbe potuto ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto, ovvero se le risorse dell'obbligato gli consentano di continuare a versare il contributo precedentemente stabilito. Lo ha precisato la Cassazione con la sentenza 14734/2016.

La riparametrazione - Come noto, il precetto contenuto nell'articolo 337-quinquies del codice civile e il procedimento previsto dall'articolo 710 del Cpc e previsto dall'articolo 9 legge 898 del 1970, sono fondati sulla necessità di adeguare nel tempo, sulla base di una più attuale e concreta valutazione, i provvedimenti già adottati (v. Cass. Civ., sez. I, sentenza 17 maggio 2012 n. 7770) secondo una regola comune alle pronunce preordinate al soddisfacimento dei bisogni di vita della persona tramite imposizione a terzi di prestazioni destinate a protrarsi nel tempo (Cassazione , sez. I civile, sentenza 11 marzo 2006 n. 5378); le condizioni fissate dalle parti o dal giudice sono, conseguentemente, suscettive di modifica a fronte di successive variazioni della situazione di fatto posta a fondamento della decisione: variazione in presenza delle quali non può dunque opporsi l'exceptio iudicati (ex plurimis, Cassazione 21049/04; 8654/98; 7953/96). La rivisitazione dei patti di separazione o divorzio è, tuttavia, ammessa solo in presenza di sopravvenienze che si presentino oggettivamente idonee ad alterare l'equilibrio determinato al momento della pronuncia giudiziale. Deve, allora, trattarsi di circostanza cd. sopravvenute, vuoi in fatto, vuoi in diritto, non potendo, invero, rilevare, conseguentemente, quegli eventi che, pur prevedibili o comunque deducibili dall'interessato, non siano stati dallo stesso fatti valere in funzione dell'accordo (Trib. Milano, sez. IX, 5 luglio 2013). Con la pronuncia in rassegna, la Suprema Corte, in materia di condizioni di divorzio, si sofferma inoltre, sul tipo di valutazione rimessa al giudice della revisione: lo spettro di cognizione di cui all'articolo 9 legge 898 del 1970 costituisce il frutto non già di «un riesame delle statuizioni adottate nella sentenza di divorzio, ma di una rinnovata valutazione dell'assetto risultante dal provvedimento attributivo dell'assegno, alla luce di circostanze sopravvenute ritenute idonee a determinare una significativa modificazione della situazione economica dell'intimata, e quindi a legittimare un giudizio d'inadeguatezza del contributo precedentemente liquidato». In altri termini, il giudice non può procedere a una nuova e autonoma valutazione dei presupposti o dell'entità dell'assegno sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento dell'attribuzione dello emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze sopravvenute abbiano alterato l'equilibrio così raggiunto ed ad adeguare l'importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale (cfr. Cass., Sez. VI, 20 giugno 2014, n. 14143; 2 maggio 2007, n. 10133; 29 agosto 1998, n. 8654). Nello schema legale prefigurato dall'articolo 9 della legge n. 898 del 1970, inoltre, la revisione delle condizioni stabilite dalla sentenza di divorzio non si configura come una mera presa d'atto della sopravvenienza di circostanze incidenti sul patrimonio o sul reddito di uno o di entrambi gli ex coniugi, ma rappresenta il risultato di una valutazione comparativa delle rispettive situazioni economico-patrimoniali, che, pur non essendo sovrapponibile a quella emergente dalla sen­tenza di divorzio, in quanto condizionata dall'intervenuto mutamento dello stato di fatto, presuppone anch'essa il raffronto tra le rispettive risorse patrimoniali e reddituali: tale comparazione risulta infatti indispensabile alfine di stabilire se i mezzi di cui può disporre il richiedente siano divenuti insufficienti ad assicurargli la conservazione di un tenore di vita analogo a quello mantenuto in costanza del matrimonio, o che avrebbe potuto ragionevolmente configurarsi sulla base di a­spettative maturate nel corso del rapporto, ovvero se le risorse dell'obbligato gli consentano di continuare a versare il contributo precedentemente stabilito (Cfr. Cass., Sez. I, 3 gennaio 2011, n. 18; 28 agosto 1999, n. 9056; 21 giugno 1995, n. 6974).
L'esigenza di una siffatta valutazione s'impone con particolare intensità proprio in riferimento all'ipotesi in cui, come specie affrontata dalla sentenza in commento (Cass. Civ. 14734 del 2016), la domanda di riduzione dell'assegno trovi fondamento nell'allegazione di nuovi obblighi familiari, la cui sopravvenienza a carico dell'obbligato comporta la necessità di verificare se la consistenza dei maggiori oneri sia tale da incidere significativamente sulla sua complessiva situazione economico-patrimoniale, in tal modo impedendogli di continuare a contribuire totalmente o parzialmente al sostentamento degli aventi diritto all'assegno (cfr. Cass., Sez. I, 19 marzo 2014, n. 6289; 30 novembre 2007, n. 25010; 23 agosto 2006, n. 18367).

Corte di Cassazione - Sezione VI – Sentenza 19 luglio 2016 n. 14734

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