Lavoro

Mystery shopping, sotto la lente il trattamento dei dati

In alcuni casi lo strumento può essere utilizzato per verificare il rispetto della normativa o intercettare comportamenti scorretti da parte della forza vendita

di Jacopo Liguori*

Il mystery shopping è uno strumento che sempre più spesso viene utilizzato dalle aziende per misurare la qualità dei propri prodotti e servizi ed il modo in cui questi vengono proposti alla clientela. In alcuni casi può essere anche un mezzo per verificare il rispetto della normativa o intercettare comportamenti scorretti da parte della forza vendita, ad esempio in relazione al rapporto con i consumatori o alle modalità di raccolta dei dati personali per fini di marketing.

Generalmente, le aziende incaricano società specializzate di predisporre una valutazione terza ed imparziale dell'esperienza che i propri clienti vivono recandosi in un punto vendita. Il mystery shopper è infatti un "finto cliente" che si reca in un punto vendita e si comporta esattamente come farebbe qualsiasi altro potenziale acquirente. A differenza di quest'ultimo, però, il suo fine ultimo non è quello di valutare un acquisto, ma piuttosto di osservare quale sia il trattamento che viene riservato alla clientela dagli addetti alla vendita.

Il mystery shopping è una pratica lecita ed utile all'azienda, ed è stata di recente regolata da IVASS per la sua applicazione nel campo dei servizi assicurativi (si veda regolamento n. 53 del 7 settembre 2022 ). Tuttavia, se non adeguatamente posta in essere, può porre più di un rischio. Infatti, se da un lato permette alle aziende di svolgere valutazioni utili al fine di riconsiderare le proprie policy in materia di customer experience, dall'altro implica un controllo degli addetti alla vendita che può generare criticità sotto il profilo della tutela dei dati personali dei dipendenti e di diritto del lavoro.

Lato privacy i dipendenti dovrebbero essere informati di tutte le attività di trattamento che svolge il datore di lavoro, in veste di titolare del trattamento, tra cui anche i potenziali controlli di cui parliamo. Tuttavia, proprio le caratteristiche del mystery shopping impongono che lo stesso avvenga "a sorpresa" , essendo questo l'unico modo per assicurarsi che il comportamento del dipendente sia genuino e non condizionato dal sapere che le interazioni con quella specifica clientela saranno utilizzate a fini valutativi.
Si pone dunque un problema di trasparenza nei confronti dei dipendenti, non sempre di facile applicazione.

Sotto il profilo di diritto del lavoro, va evidenziato come un'eventuale valutazione, ad esempio finalizzata a conferire premi o bonus o nel peggiore dei casi contestazioni rispetto all'operato, potrebbe ritenersi come una forma di monitoraggio a distanza, sollevando importanti questioni giuslavoristiche. A ciò si aggiunga che la valutazione potrebbe essere ritenuta soggettiva e discutibile, se basata solo sulle mere impressioni del mystery shopper.

Le aziende dovrebbero quindi studiare attentamente come porre in essere questo genere di controlli, valutando l'opportunità di trattare i dati degli specifici dipendenti oggetto dell'indagine, a fronte delle problematiche descritte. In astratto anche soltanto l'orario e il giorno della visita potrebbero permettere di individuare il dipendente in determinati contesti. Ed anche il numero contenuto dei dipendenti può in qualche misura permettere all'azienda committente di individuare il dipendente o, quanto meno, di restringere il campo.

Una soluzione prudente potrebbe essere quella di chiedere alla società incaricata del mystery shopping solo report aggregati od anche report più puntuali rispetto al punto vendita ma solo in quei casi in cui il numero di dipendenti sia sufficientemente alto da impedire di identificarli (ad esempio lo store di una specifica città con numerosi addetti contemporaneamente presenti lo stesso giorno, in modo che sia ragionevolmente impossibile capire chi si sia occupato della vendita).

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*A cura di Jacopo Liguori, Partner Withers

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