Società

Negata dalla Cassazione al fidejussore la legittimazione a promuovere il fallimento del debitore anche quando ha già iniziato l'azione di rilievo

L'ordinanza n. 25317/2020 della Corte di Cassazione consente di intrecciare il tema dell'azione di rilievo del fidejussore con quello della legittimazione a richiedere il fallimento del debitore

immagine non disponibile

di Gianfranco Di Garbo


Una recentissima decisione della Corte di Cassazione (ordinanza 11 novembre 2020, n. 25317) consente di intrecciare il tema dell'azione di rilievo del fidejussore, prevista dall'art. 1953 c.c., con quello della legittimazione a richiedere il fallimento del debitore. Il suo esame richiede pertanto un breve excursus sui principi generali di questi due istituti.

Iniziando con l'azione di rilievo del fidejussore, si tratta di uno strumento che consente al fidejussore di ottenere, a carico del soggetto garantito (c.d. fideiuvato) la sua liberazione, mediante o il pagamento diretto al creditore garantito o la rinuncia dello stesso alla garanzia, ovvero le garanzie necessarie ad assicurargli il soddisfacimento dell'azione di regresso (che sarà disponibile, eventualmente con la surrogazione dei diritti del creditore, dopo il pagamento).

Si tratta dunque di un'azione cautelativa, che si esercita prima che il fidejussore abbia soddisfatto il creditore, nella quale il periculum, fattore essenziale dell'ammissibilità di ogni azione cautelare, viene prefigurato e sostanziato in presenza di cinque tassative ipotesi previste dall'art. 1953 c.c.:

1) quando il fidejussore è convenuto in giudizio per il pagamento ;
2) quando il debitore è divenuto insolvente;
3) quando il debitore si è obbligato di liberarlo dalla fidejussione entro un tempo determinato ;
4) quando il debito è divenuto esigibile per la scadenza del termine;
5) quando sono decorsi cinque anni, e l'obbligazione principale non ha un termine, purché essa non sia di tal natura da non potersi estinguere prima di un tempo determinato.

Un'importante sentenza di merito (Trib. Milano 10.4.2017 – G.U. Rota) , partendo dalla considerazione che l'oggetto della domanda di rilievo è la condanna a un obbligo di facere, ha correttamente ritenuto ammissibile il ricorso all'art. 614-bis c.p.c. (astreintes), da proporsi come domanda accessoria a quella di condanna al rilievo, ed anche, eventualmente, con il ricorso al procedimento sommario ex art. 702 bis c.p.c., applicazione che è stata giustamente salutata (F.Zanzi in DB 27.9.2018) come un passo importante per conferire alla condanna al rilievo quella "concreta efficacia coercitiva che, di fatto, le era a lungo mancata."

Passando al secondo anello della tematica in oggetto, basterà ricordare che in tema di iniziativa per la dichiarazione di fallimento l'art.6 Legge fall., stabilendo che il fallimento è dichiarato (tra l'altro) su istanza di uno o più creditori, non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, né l'esecutività del titolo ma, secondo il suggello delle Sezioni Unite della Suprema Corte, "essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice, all'esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell'istante" (Cass. SS.UU. n. 1521/2013).

Non è dunque in discussione il costante orientamento giurisprudenziale che ravvisa nella qualità di creditore in sé, ancorché titolare di un credito non necessariamente certo, liquido ed esigibile ovvero non ancora scaduto o condizionale, la legittimazione all'iniziativa di fallimento. Il caso di specie verteva infatti sulla delibazione della legittimazione attiva del fidejussore a chiedere il fallimento dopo aver subito, da parte del creditore garantito, l'emissione di un decreto ingiuntivo esecutivo, con conseguente iscrizione di ipoteca giudiziale su suoi immobili, ma prima che lo stesso, nonostante le predette pressanti azioni del creditore, avesse provveduto ad effettuare il pagamento.

L'istanza di fallimento del creditore puntava su una prognosi positiva del definitivo accertamento della sua pretesa monetaria in ambito fallimentare, ma questo dato viene ritenuto insufficiente dalla Corte, che si ferma a valutare in astratto la natura del diritto del fidejussore azionato con il rilievo di cui all'art.1953 c.c., nel quale non riscontra gli estremi della pretesa creditizia necessaria per insinuarsi nel fallimento ex art. 52 Legge fall. ("il fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito. I crediti nei confronti del fallimento possono essere accertati…").

Se è vero infatti – argomenta la Corte - che ai fini dell'istanza di fallimento non è strettamente necessario che il creditore vanti una pretesa monetaria, ben potendo la posizione soggettiva estrinsecarsi altresì nella consegna di cose, dunque in un dare a contenuto plurale (proprio della più ampia nozione di debito), "in tema di concorso di creditori il fidejussore non ha un credito di regresso prima del pagamento e dunque non può essere ammesso con riserva per un credito condizionale; potrà invece essere ammesso al passivo solo dopo il pagamento, in surrogazione del creditore, considerata la natura concorsuale del credito di regresso".

Si tratta in verità di un principio già presente in altre sentenze, anche recenti (es: Cass. n.613/2013, n.19609/2017, n.22308/2019 e n. 11521/2020), che fa leva sul concetto di "pagamento", più che quello più generale di diritto di credito, per cui l'insinuazione del credito del coobbligato potrebbe avvenire soltanto solo se e nella misura in cui sia già avvenuto il pagamento, che configura il fatto costitutivo del diritto al regresso o della modifica in sede di surrogazione o della sua assunzione, nel rapporto principale, della veste di unico creditore, in quanto l'ammissione al passivo dei crediti con riserva esige una situazione soggettiva non dispiegabile con pienezza soltanto per difetto di elementi accidentali esterni, diversi dal pagamento futuro al creditore comune.

Significativa è la circostanza che nel concordato preventivo il legislatore ha regolato la partecipazione del fidejussore al procedimento, ma con l'attribuzione del mero diritto d'intervento all'adunanza, ai sensi della L. Fall., art. 174, sempre sull'identico presupposto (specificato da Cass. n. 22382/2019), secondo cui "il fidejussore del proponente non ha diritto di voto, atteso che la L. Fall., art. 174, comma 4, consente soltanto il suo intervento nell'adunanza e che prima del pagamento egli non ha un credito di regresso nei confronti del debitore, potendo esercitare verso di lui solo l'azione di rilievo, ex art. 1953 c.c., che mira ad ottenere un "facere" e non un "dare"".

Come corollario di questo punto si noti che una volta che il debitore sia fallito (per istanza legittima di altri creditori) il fidejussore non potrebbe più svolgere l'azione di rilievo, proprio perché quest'ultima ha natura cautelativa, che non ha più ragione di esistere dopo il fallimento: non si potrebbe infatti più obbligare il fallito (e quindi il curatore) a "liberare" il garante o a fornirgli garanzie, ma il fidejussore, dopo aver pagato, potrà soltanto esercitare l'azione di regresso nei confronti del fallimento, per essere pagato, ovviamente in moneta fallimentare (arg. ex Cass.n.14584/2010).

In punta di diritto non si può che concordare con la sentenza della Suprema Corte, che mette in luce peraltro una falla del sistema, perché non si può negare un interesse del fidejussore nel promuovere il fallimento del debitore, se non altro per evitare ulteriore depauperamento del patrimonio del fallito e in definitiva proteggere la sua posizione quanto meno di legittima aspettativa, essendo evidente che l'azione di regresso sarebbe destinata ad avere successo una volta che sia stato pagato il creditore comune.

Ma de iure condito non si può evidentemente superare l'assunto, che è anche il suo limite, che il petitum dell'azione di rilievo di cui all'art. 1953 c.c. consiste in un solo facere, e non in un dare, dovendosi quindi escludere che il fidejussore, prima di avere pagato e così onorando la garanzia, possa conseguire con quell'iniziativa e a propria volta il pagamento da parte del debitore garantito, oggetto che la distingue dall'azione di regresso, rispetto alla quale essa assume una funzione cautelare. Parallelamente, non sarà allo stesso garante possibile proporre l'istanza di fallimento perché prima del pagamento la sua posizione soggettiva non gli consentirebbe l'insinuazione al passivo e quindi non si può dar luogo neppure alla delibazione prognostica del possibile esito dell'azione futura. L'oggetto del credito infatti (quello instaurato con l'azione di regresso) non è suscettibile di essere convertito, all'instaurazione del concorso, in una posizione soggettiva neppure astrattamente ammissibile al passivo, appunto perché consistente in un "facere", una prestazione alla quale non potrà mai costringersi il fallimento.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©