Penale

Nell’omicidio preterintenzionale l’aggravante dell’odio può convivere con la provocazione

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di Silvia Marzialetti

Nell'omicidio preterintenzionale, l'aggravante dell'odio razziale può convivere con l'attenuante della provocazione. Lo ha chiarito la Cassazione, con la sentenza 2630 del 22 gennaio 2018, bocciando il ricorso di un imputato marchigiano, accusato di omicidio preterintenzionale aggravato da finalità di odio razziale e con la concessione dell'attenuante.
Nel ricorso l'uomo denunciava due violazioni di legge in merito alla mancata concessione della scriminante della legittima difesa e alla mancata esclusione dell'aggravante dell'odio razziale, definita «incompatibile con la concessa attenuante della provocazione».
La circostanza aggravante della finalità di discriminazione o di odio etnico, razziale o religioso, è configurabile non solo quando l'azione, per le sue intrinseche caratteristiche e per il contesto in cui si colloca, «risulti intenzionalmente diretta a rendere percepibile all'esterno e a suscitare in altri analogo sentimento di odio e comunque a dar luogo, in futuro o nell'immediato, al concreto pericolo di comportamenti discriminatori; ma anche quando essa si rapporti, nell'accezione corrente, ad un pregiudizio manifesto di inferiorità di una sola razza, non avendo alcun rilievo la mozione soggettiva dell'agente».
Secondo giudici, contrariamente a quanto richiesto dalla difesa con il ricorso, non appare applicabile la pacifica giurisprudenza della Corte in tema d'incompatibilità tra l'attenuante della provocazione e l'aggravante dei futili motivi, poichè non è possibile la coesistenza di stati d'animo diversi nella medesima azione.
Invero, scrivono i giudici, una cosa è la coesistenza nella medesima azione criminosa di stati d'animo contrastanti, altra cosa è la coesistenza tra uno stato d'animo che attenui la gravità del fatto e una condotta, destinata a rendere percepibile all'esterno un sentimento di odio, senza che assuma rilievo la mozione soggettiva dell'agente: il tutto a non voler considerare, secondo quanto affermato dallo stesso ricorrente, il lasso di tempo intercorrente tra le espressioni razziste pronunciate dall'imputato e la reazione aggressiva della vittima, che vale a rendere insussistente la pretesa contemporanea coesistenza di situazioni soggettive diverse.

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