Professione e Mercato

Nessun conflitto di interessi se l'avvocato condivide lo studio col collega di controparte

Non basta la mera condivisione dei locali con il legale di controparte ai fini del conflitto di interessi. Il CNF annulla la sospensione all'avvocato

di Marina Crisafi

Ai fini del conflitto di interessi non è sufficiente la mera condivisione dei locali con il legale di controparte. È quanto ha sentenziato il Consiglio Nazionale Forense (decisione n. 22/2022) annullando la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione per due mesi comminata nei confronti di un avvocato.

La vicenda
Nel caso di specie, il Consiglio territoriale aveva comminato la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione per mesi due all'avvocato che aveva assistito un soggetto convenuto in giudizio da un attore difeso da un legale che esercitava la professione nei suoi medesimi locali.
Il professionista adiva il CNF.

Obbligo di astensione
Secondo il codice deontologico, ricorda il Consiglio, "l'avvocato deve astenersi dall'accettare il mandato qualora il legale avversario faccia parte della propria società o associazione professionale ovvero eserciti negli stessi locali e vi collabori professionalmente in maniera non occasionale (art. 24 co. 5 cdf)".
A differenza del codice previgente (articolo 37), ove tale ultimo inciso mancava, ai fini dell'obbligo di astensione è dunque necessaria "una collaborazione continuativa e non occasionale tra i professionisti", la quale va provata "oltre ogni ragionevole dubbio" e non può quindi essere desunta da "meri elementi presuntivi come l'uso comune di linee telefoniche e/o di servizi di posta elettronica, trattandosi di risorse logistiche neutre – a differenza della PEC – compatibili con una condivisione degli spazi di uno stesso studio riferibili anche a semplici rapporti di ospitalità e/o amicizia".

La decisione
Fatte queste premesse, il CNF rilevava che ex actis non emergeva in modo certo che i due professionisti, oltre a condividere i locali di studio, collaborassero anche in maniera non occasionale, posto che la prova di tale collaborazione, tra i professionisti, non poteva essere fatta discendere apoditticamente dalla sola collaborazione professionale in tre o quattro pratiche nell'arco temporale di quindici anni, né poteva essere desunta da altri elementi presuntivi come le risorse logistiche neutre e la condivisione degli spazi di studio. Da qui l'accoglimento del ricorso e l'annullamento della sanzione disciplinare.

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