Civile

Niente abuso del diritto se il terreno donato ai figli è rivenduto subito dopo

Lo ha stabilito la Cassazione, con la sentenza 26947/2020

di Dario Deotto

Non è riconducibile all’abuso del diritto né alla simulazione relativa la donazione di terreni ai figli e la rivendita da parte di questi ultimi a distanza di pochi mesi a soggetti terzi, con il conseguimento di una plusvalenza inferiore rispetto a quella che avrebbero conseguito i genitori-donanti. Lo ha stabilito la Cassazione, con la sentenza 26947/2020 depositata ieri. La questione riguarda alcuni avvisi di accertamento emessi in base all’articolo 37, comma 3, del Dpr 600/1973 – interposizione fittizia e simulazione in genere – nei confronti dei donanti (ai figli) di alcuni terreni. I terreni erano stati poi rivenduti dai figli a soggetti terzi a distanza di 3 e 5 mesi (si trattava di più terreni). Nel corso del processo, la Ctr aveva eccepito l’applicabilità della norma antielusiva in base all’articolo 37-bis del Dpr 600/1973.

Secondo la Corte, la vicenda non può essere ascritta all’elusione nemmeno dopo l’introduzione dell’articolo 10-bis dello Statuto. Sempre secondo la Cassazione, l’eventuale interposizione (dei figli, in questo caso) deve essere tenuta distinta dall’abuso del diritto. E questo è un approdo soddisfacente viste le numerose incomprensioni sul distinguo tra evasione ed elusione.

La pronuncia poi stabilisce che nel caso in esame non si è nemmeno in presenza di interposizione in quanto la donazione ai figli che poi a distanza di pochi mesi hanno ceduto a società terze (pagando meno imposte rispetto a quelle che avrebbero pagato i genitori) rappresenta una pianificazione familiare che, comunque, ha determinato l’insorgenza di una plusvalenza in capo ai figli-donatari. Né sono stati individuati – riporta la Corte – altri indizi a dimostrare l’imputazione del reddito in capo ai genitori- donanti. Va infatti ricordato che le ipotesi simulatorie (tra cui l’interposizione fittizia) sono disciplinate dall’articolo 37, comma 3, del Dpr 600/1973 e possono essere accertate anche sulla base di presunzioni, purché gravi, precise e concordanti. La Corte ricorda che in alcuni suoi precedenti è stato affermato che non vi è prova dell’interposizione nemmeno nel caso in cui «i beni donati sono stati venduti persino lo stesso giorno della vendita a terzi» (si voleva dire – si immagina – lo stesso giorno della donazione).

Ad ogni modo, la sentenza soddisfa perché evidenzia che nell’abuso del diritto non c’è spazio per vicende imputabili all’evasione. Questo è un filone che si registra ultimamente (sentenze 20823/2020 e 27550/2018).

In realtà qualche retaggio c’è ancora, come quando la pronuncia afferma che con l’articolo 37, comma 3, del Dpr 600/1973 si eluderebbe il regime fiscale costituente il presupposto d’imposta. Oppure quando si parla dell’applicazione dello stesso articolo 37 e di «scopo elusivo anche mediante operazioni effettive e reali», assumendo probabilmente il fatto che l’interposizione reale ricade nella stessa previsione di legge. L’interposizione reale, però, non può essere accostata all’interposizione fittizia. In quest’ultima vi è una chiara asimmetria tra situazione reale e quella formale, mentre nell’interposizione reale si è in presenza di una realtà del tutto vera e voluta.

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