Niente garanzie Ue sui divorzi «privati»
La legge di uno Stato membro richiamata dal regolamento, va applicata anche se contiene condizioni più restrittive rispetto a quella del foro
L’aumento esponenziale di controversie sul divorzio con elementi di transnazionalità ha portato a un incremento del carico di lavoro della Corte di giustizia dell’Unione europea che, tassello dopo tassello, è intervenuta a precisare i contorni delle regole Ue.
L’intervento più recente ha visto al centro anche la legislazione italiana nella parte in cui prevede che, prima della pronuncia di divorzio, si realizzi un periodo di previa separazione personale dei coniugi constatata o disposta da un organo giurisdizionale. Con la sentenza del 16 luglio 2020 (causa C-249/19, JE), chiamata in aiuto dal Tribunale superiore di Bucarest, investito di una controversia tra due cittadini rumeni, residenti in Italia, che aveva stipulato il matrimonio in Romania, la Corte Ue ha chiarito, prima di tutto, la libertà degli Stati nel prevedere condizioni particolari di accesso al divorzio e, poi, la corretta interpretazione dell’articolo 8 del regolamento 1259/2010 sull’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale (“Roma III”), relativo alle situazioni aventi carattere transnazionale.
Per la Corte, la legge di uno Stato membro (in questo caso quella italiana che porta al divorzio solo dopo un periodo di separazione personale di almeno 3 anni rispetto al momento in cui il giudice viene adito con la domanda di divorzio), richiamata dal regolamento, va applicata anche se contiene condizioni più restrittive rispetto a quella del foro poiché questa situazione non può essere assimilata al caso in cui in un ordinamento non sia previsto il divorzio. Di conseguenza, anche se in uno Stato membro non è regolata la procedura di separazione personale, la competenza rimane dei giudici degli Stati membri individuati in base al regolamento Ue 2201/2003 sulla competenza, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale. Inoltre, la legge applicabile in mancanza di scelta operata dalle parti, resta quella della residenza abituale dei coniugi secondo quanto previsto dall’articolo 8 del regolamento 1259/2010. Pertanto, l’articolo 10 del regolamento in base al quale se «la legge applicabile ai sensi dell’articolo 5 o dell’articolo 8 non preveda il divorzio o non conceda a uno dei coniugi, perché appartenente all’uno o all’altro sesso, pari condizioni di accesso al divorzio o alla separazione personale» va richiamata la legge del foro, non deve essere applicato in modo analogico ai casi in cui il divorzio sia preceduto dalla separazione personale. La Corte ha così escluso l’equiparazione tra inesistenza del divorzio e normativa restrittiva, evitando che gli obiettivi del regolamento, ossia la costituzione di un «quadro giuridico chiaro e completo in materia di legge applicabile al divorzio e alla separazione personale negli Stati membri partecipanti», della certezza del diritto, della prevedibilità e della flessibilità nei procedimenti matrimoniali internazionali siano vanificati.
Sempre in materia di divorzio, con la sentenza del 20 dicembre 2017 (C-372/16, Sahyouni), la Corte ha chiarito che il regolamento Roma III sulla legge applicabile al divorzio non si applica ai casi di un divorzio privato, che non rientra così nella sfera di applicazione ratione materiae del regolamento Ue. La vicenda principale riguardava lo scioglimento, da parte di un tribunale religioso in Siria, di un matrimonio contratto in Siria tra due persone che possedevano sia la cittadinanza siriana sia quella tedesca e che erano residenti in Germania. Le autorità tedesche avevano proceduto a riconoscere il divorzio pronunciato con dichiarazione unilaterale del marito, sostenendo che la legge applicabile, in base al regolamento Ue, fosse quella siriana. La moglie aveva contestato questa conclusione e, su rinvio pregiudiziale dei giudici tedeschi, la Corte Ue ha escluso questi divorzi dal campo di applicazione del regolamento. Per la Corte, infatti, anche se il regolamento non definisce la nozione di divorzio e anche se i divorzi privati non sono esplicitamente esclusi dalla sua sfera di applicazione, dal contesto e dagli elementi del regolamento risulta che esso riguarda esclusivamente i divorzi pronunciati da un’autorità giurisdizionale statale, da un’autorità pubblica o con il suo controllo. Di conseguenza, le norme dell’atto Ue non sono applicabili a divorzi fondati su una «dichiarazione di volontà unilaterale» pronunciata dinanzi a un tribunale religioso. Secondo la Corte, l’interpretazione è anche coerente con l’ambito di applicazione del regolamento 2201/2003 che si occupa unicamente dei divorzi pronunciati da un’autorità giurisdizionale.