Amministrativo

Niente più vincolo di cinque affari all’anno per rimanere avvocati

Via libera al decreto che come aveva chiesto la Ue elimina quella condizione

di Antonello Cherchi

Non c’è bisogno che l’avvocato dimostri di aver trattato almeno cinque affari all’anno per accertare che svolge la professione in modo abituale, continuativo e prevalente. Per arrivare a quella conclusione è sufficiente che abbia una partita Iva, che disponga di locali e di un’utenza telefonica dedicati allo svolgimento dell’attività legale, che abbia comunicato la Pec all’Ordine, che sia coperto da una polizza assicurativa per i rischi derivanti dalla professione, che si aggiorni costantemente.

Sono le conclusioni a cui è giunta la sezione consultiva sugli atti normativi del Consiglio di Stato con il parere 1012 depositato ieri. I giudici di Palazzo Spada sono stati chiamati a esprimersi sul decreto del ministero della Giustizia che elimina il vincolo dei cinque affari da svolgere in un anno da un avvocato per dimostrare di continuare a esercitare la professione.

Quel vincolo è contenuto nel decreto 47/2016 - di attuazione della legge di riforma della professione forense (la 247 del 2012) - che lo impone come condizione insieme ad altre (partita Iva, studio e utenza telefonica, assicurazione, formazione, Pec) per non essere cancellati dall’Albo. Condizioni che, secondo il decreto 47, devono verificarsi congiuntamente.

La questione dei cinque mandati aveva allertato la Commissione europea, che aveva aperto una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia perché la misura era stata ritenuta troppo rigida. In un primo tempo il ministero della Giustizia aveva cercato altre soluzioni - come la riduzione dei mandati a quattro e una loro più puntuale descrizione - ma senza successo.

Per la Ue continuava a non esserci un valido sostegno a quel vincolo, che non è «giustificato dall’obiettivo invocato dalle autorità italiane,ossia garantire l’effettivo e corretto esercizio della professione, e non può comunque essere considerato proporzionato all’obiettivo perseguito. Un avvocato può infatti decidere di sospendere o di limitare sensibilmente l’esercizio della professione per un determinato periodo di tempio per vari motivi, ad esempio in caso di malattia o per prestare assistenza a un familiare senza che tale decisione debba incidere sulla sua competenza di avvocato abilitato all’esercizio della professione». Insomma, per la Commissione europea «non sembra esservi alcun nesso tra l’obbligo di trattare almeno cinque affari per ciascun anno e la garanzia del corretto esercizio della professione di avvocato».

Alla fine, pertanto, il ministero della Giustizia ha deciso, nonostante il parere contrario del Consiglio nazionale forense, di eliminare quel vincolo e il Consiglio di Stato ha dato il via libera.

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