Civile

Niente recupero dell’Iva senza la consapevolezza della frode del fornitore

La sentenza 15749/2023 della Cassazione: illegittimo lo stop all’imposta detratta se c’è buona fede

di Laura Ambrosi

Non c’è consapevolezza nella frode commessa dal proprio fornitore se i soggetti con cui si interfaccia sono riconosciuti operatori del settore. Ne consegue l’illegittimità del recupero dell’Iva detratta sulle operazioni fatturate perché sussiste la buona fede. Ad affermarlo è la Cassazione con sentenza 15749/2023 depositata il 6 giugno. L’agenzia delle Entrate contestava l’utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti a un contribuente che aveva acquistato prodotti agricoli da una società esercente l’attività di commercializzazione anziché direttamente dai produttori.

Il provvedimento veniva impugnato dinanzi al giudice tributario che solo in grado di appello lo annullava. In particolare, il Collegio di seconde cure confermava il diritto alla detrazione mancando la prova della consapevolezza alla frode perpetrata dal fornitore. L’Ufficio ricorreva in Cassazione lamentando, in sintesi, che il giudice di appello non avesse adeguatamente considerato le prove fornite. La Suprema Corte ha innanzitutto ricordato che in tema di fatture soggettivamente inesistenti, inserite o meno in una frode carosello, è l’amministrazione che deve provare non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione.

A tal fine occorre la dimostrazione, anche in via presuntiva, che in base ad elementi oggettivi specifici, il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza, della sostanziale inesistenza del proprio contraente. Solo in seguito, grava sul contribuente la prova contraria.

La Cassazione ha poi ribadito i principi recentemente affermati con riguardo al regime del reverse charge secondo i quali il diritto alla detrazione non può essere riconosciuto al cessionario che sulla fattura emessa abbia indicato un fornitore fittizio se alternativamente:

a) abbia egli stesso commesso un’evasione Iva o sapeva che l’operazione si iscriveva in tale evasione;

b) sia consapevole dell’indicazione in fattura di un fornitore fittizio o non abbia fornito la prova che il vero fornitore sia un soggetto passivo Iva.

In sintesi, rileva la conoscenza da parte del contribuente della inesistenza del soggetto passivo (fornitore) indicato in fattura e la mancanza di elementi idonei ad individuare l’effettivo fornitore quale soggetto passivo Iva (Cassazione, sentenza 4250/2022). Nella specie, il giudice di appello, valutando correttamente gli elementi, aveva escluso che la società potesse anche solo sospettare dell’inesistenza soggettiva del proprio interlocutore, soprattutto alla luce della notorietà dei soggetti che si interfacciavano per le operazioni.

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