Civile

Niente usucapione del diritto di abitazione per il convivente

immagine non disponibile

di Andrea Alberto Moramarco

Una volta cessato il rapporto di convivenza more uxorio, il convivente che abita nella casa che costituisce residenza familiare, della quale non sia proprietario, deve essere considerato come un detentore qualificato del bene. Questa posizione gli consente di rimanere all'interno dell'abitazione per un certo periodo di tempo, necessario per trovare un'altra sistemazione e, dunque, di non essere estromesso repentinamente, ma non è sufficiente per l'usucapione del diritto di abitazione nella casa. Lo ha ribadito il Tribunale di Roma con la sentenza 8911/2016.

Il caso - Protagonista della vicenda è un uomo che dal 1978 conviveva con una donna, già madre di due figli, presso un'abitazione di proprietà della partner. In seguito alla morte di quest'ultima, i figli di lei avevano approfittato del trasferimento del suo ex compagno presso la casa al mare in comproprietà della coppia per sostituire la serratura della porta, impedendo così all'uomo di accedere nell'abitazione. La questione va a finire in Tribunale dove l'uomo chiede l'accertamento dell'acquisto del diritto di abitazione e il risarcimento per l'illegittima estromissione, mentre i figli della sua ex compagna chiedono il pagamento di un importo a titolo di indennizzo per l'occupazione esclusiva della casa in cui questi viveva, del quale anche essi erano divenuti proprietari per il 50%.

La decisione - Il giudice però dà torto ad entrambi. Quanto alla questione del diritto di abitazione, il Tribunale, richiamando la più recente giurisprudenza, afferma che il convivente more uxorio che abita nella casa che costituisce residenza familiare deve essere considerato come «un detentore qualificato in forza di un negozio familiare che anche dopo la cessazione del rapporto gli consente di rimanere all'interno dell'immobile per un certo periodo senza che il convivente proprietario possa estrometterlo repentinamente». E ciò evidentemente vale anche nel caso di cessazione della convivenza per la morte del proprietario dell'abitazione. Per il giudice, poi, ai fini dell'usucapione, l'uomo avrebbe dovuto trasformare la detenzione in possesso, ma ciò non risulta nella fattispecie. Da ciò consegue che il titolo di detenzione qualificata tutela il convivente non proprietario solo da una estromissione immediata dal godimento dell'immobile, ma non gli attribuisce «un titolo da far valere ad ogni effetto ed anche a fini risarcitori».
Quanto, invece, alla richiesta dei figli della donna del pagamento di un indennizzo per il mancato utilizzo della casa al mare, il giudice ricorda che in caso di bene oggetto di comunione che non permette l'uso simultaneo di tutti i comproprietari, sino a quando non ci sia la richiesta di un uso turnario da parte degli altri comproprietari, «il semplice godimento esclusivo ad opera di taluni non può assumere la idoneità a produrre un qualche pregiudizio in danno di coloro che abbiano mostrato acquiescenza all'altrui uso esclusivo, salvo che non risulti provato che i comproprietari che hanno avuto l'uso esclusivo del bene ne abbiano tratto anche un vantaggio patrimoniale». E nella specie, l'uso turnario non è stato richiesto e, anzi, il godimento del bene da parte dell'uomo è avvenuto con l'acquiescenza degli stessi convenuti.

Tribunale di Roma - Sezione VII civile - Sentenza 4 maggio 2016 n. 8911

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©