Civile

No alla condanna alle spese per l'accoglimento della domanda in misura ridotta

Le Sezioni Unite civili della Cassazione, sentenza n. 32061 depositata oggi, fanno chiarezza sul regime delle spese di processuali

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di Francesco Machina Grifeo

Le Sezioni Unite civili della Cassazione, sentenza n. 32061 depositata oggi, fanno chiarezza sul regime delle spese di lite rispondendo negativamente alla domanda se «sia corretta l'interpretazione dell'art. 92 c.p.c. secondo cui, nel caso di rilevante divario tra petitum e decisum, l'attore parzialmente vittorioso possa essere condannato alla rifusione di un'aliquota delle spese di lite in favore della controparte». La questione riguardava un atto di precetto contestato perché conteneva un importo sbagliato.

La Suprema corte dopo aver ricordato i d ue opposti orientamenti (ed anche un terzo intermedio) prende posizione a favore dell'indirizzo che circoscrive la fattispecie della soccombenza reciproca all'ipotesi di pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo fra le stesse parti (o di un'unica domanda articolata in più capi, dei quali soltanto alcuni siano stati accolti), escludendola invece nel caso in cui sia stata proposta una domanda articolata in un unico capo. In questa ipotesi, infatti, l'accoglimento, anche in misura sensibilmente ridotta, non consente la condanna della parte risultata comunque vittoriosa al pagamento delle spese processuali, potendone giustificare, al più, la compensazione totale o parziale.

I giudici di legittimità hanno dunque affermato il seguente principio di diritto in tema di spese processuali: «L'accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un'unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall'art. 92, secondo comma, cod. proc. civ. ».

Tale orientamento, prosegue la decisione, oltre a risultare maggiormente conforme alla disciplina dettata dal codice di rito, che è orientata ad una limitazione della discrezionalità del giudice nella regolamentazione delle spese processuali, "prospetta una regola di facile e pronta applicazione, idonea a garantire il pieno dispiegamento del diritto alla tutela giurisdizionale, evitando, nel contempo, incertezze operative foriere d'impugnazioni limitate alle spese, in linea con il principio di ragionevole durata del processo, sancito dall'art. 111, secondo comma, Cost., che impone di preferire, per quanto possibile, soluzioni mirate al contenimento delle fasi e dei tempi del giudizio".

Ragion per cui, prosegue, non può condividersi la sentenza impugnata, nella parte in cui, facendo leva sull'esito estremamente limitato della opposizione a precetto, che aveva comportato la riduzione del credito azionato per un importo assai esiguo, e ponendo altresì in risalto l'accoglimento parziale dell'appello proposto dagli intimanti, ha individuato nell'opponente la parte sostanzialmente soccombente, condannandolo al pagamento dei nove decimi delle spese processuali, e dichiarando compensato il residuo.

Una simile decisione, conclude la sentenza, non tiene conto dell'esito complessivo del giudizio, "contrassegnato dall'accertamento della fondatezza delle contestazioni sollevate dall'opponente in ordine all'importo del credito azionato con l'atto di precetto", né del comportamento processuale tenuto dagl'intimanti, i quali, come evidenziato dalla stessa sentenza impugnata, "pur avendo riconosciuto di aver commesso un errore nell'indicazione della somma dovuta, non avevano mai espressamente rinunciato al maggior importo richiesto, in tal modo rendendo necessaria la proposizione della domanda giudiziale".

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