Lavoro

Non è attività a tutela dell'incolumità pubblica lo spegnimento di un fuoco che non è insidia

Negata la causa di servizio con conseguente esclusione della rendita vitalizia pretesa dal vigile del fuoco che si riteneva vittima del dovere

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di Paola Rossi

Il vigile del fuoco che spegne un fuoco e non un incendio, se subisce un danno dallo svolgimento di tale attività, non è considerato vittima del dovere con il correlato diritto al vitalizio. Lo ha detto la Cassazione con la sentenza n. 6313/2021. Non si tratta, infatti, di un intervento a tutela della pubblica incolumità, in quanto non si è sviluppata quell'insidia incontrollabile che connota l'incendio vero e proprio. Nel caso concreto il vigile aveva provveduto allo spegnimento di un fuoco sviluppatosi a bordo strada senza insidiare persone o cose. Ciò che ha fatto escludere che si trattasse di adempimento, di un dovere del corpo cui il ricorrente apparteneva, esplicato in condizioni di particolare esposizione a rischio. Spento il fuoco e, come si legge nella sentenza di Cassazione, successivamente impegnato in un addestramento, il vigile subiva un infarto. Da cui la sua richiesta di sussidio vitalizio per l'invalidità riportata a seguito dell'evento nefasto per la salute, che lui correlava all'essersi impegnato in un'attività rischiosa a tutela dell'incolumità pubblica, proprio la circostanza che il ministero dell'Interno negava si fosse realizzata. Con la conseguente negazione del presupposto per essere considerato una vittima del dovere, meritevole di sostegno previdenziale attraverso il vitalizio. La Cassazione conferma che non si trattasse di situazione di particolare pericolo, quella in cui aveva agito il vigile, e che lo spegnimento non rientrasse nella lettera e) del comma 263 dell'articolo 1 della Finanziaria per il 2006 (legge 266/2005). Non aveva cioè agito a tutela della pubblica incolumità.

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